Boschi bellunesi abbattuti dall'uragano: il piano Zaia include i "forestieri"

Venerdì 23 Novembre 2018 di Damiano Tormen
Il presidente e commissario Luca Zaia durante un sopralluogo a Rocca Pietore uno dei paesi più colpiti dal maltempo
Velocità e gioco di squadra. Questo il testo. La musica invece sarà quella delle motoseghe. Per la colonna sonora dell’operazione foreste non serve altro. Servirà semmai un po’ di tempo. Perché la quantità di alberi rimasti a terra dopo l’uragano di fine ottobre è qualcosa di spaventoso, in grado di mettere in moto un sistema che per forza di cose non potrà essere solamente quello locale. Serviranno forze da fuori provincia. Forse, servirà una cooperazione internazionale. Di certo, serviranno eccome le prerogative speciali affidate al commissario straordinario Zaia. L’ordinanza di Protezione Civile che definisce chiaramente gli ambiti di intervento per la gestione dell’emergenza  è diventata esecutiva ieri. E prevede misure speciali anche per i boschi e le foreste, che soprattutto nell’Alto Bellunese sono un problema. Anzi, tre problemi. Primo: portare fuori il legname prima che marcisca o peggio, che i parassiti attacchino le piante rimaste in piedi. Secondo: mettere sul mercato i tronchi, evitando un eccessivo deprezzamento della materia prima. Terzo: programmare il ripristino dei boschi, soprattutto dove gli alberi, prima di cadere sotto l’effetto del vento, costituivano una protezione naturale da frane e valanghe. 
OPERAZIONE FORESTE 
La soluzione di tutti questi punti (che a loro volta comportano ulteriori “sotto-problemi”) è un’operazione che può scattare già nei prossimi giorni. La rimozione degli alberi caduti passerà attraverso l’individuazione preliminare degli ambiti di intervento (che dovrà avvenire entro cinque giorni per le zone in cui le piante schiantate costituiscono un problema di pubblica incolumità, mentre i termini sono più lunghi per le aree forestali). Dopodiché potranno entrare in gioco le motoseghe, visto che compete al commissario straordinario l’individuazione dei soggetti chiamati all’esbosco, tramite gare d’appalto dedicate. Ma qui scatta un altro problema, dovuto alla quantità di legname abbattuto e anche alla difficoltà di raggiungere le piante per terra. Difatti, il vento di fine ottobre ha giocato a Shangai con le foreste del Bellunese, per cui il recupero dei tronchi necessita di percorsi forestali nuovi e di una logistica studiata ad hoc. 
I NUMERI BALLANO 
Tra  l’altro, fino a qualche giorno fa non era stato possibile definire in maniera chiara quanto legname è rimasto a terra dopo il passaggio del maltempo. Le stime, tutte prudenziali, variavano a seconda dell’unità di misura utilizzata. Qualcuno parlava di piante (anche se è praticamente impossibile calcolare quanti alberi sono stati schiantati). Qualcun altro affrontava la questione parlando di metri cubi di legno, variando le stime tra 6-7 e 15 milioni. Altri ancora si soffermavano sugli ettari di bosco rasi al suolo. Adesso, sembrano esserci cifre più chiare. «Cinque giorni fa abbiamo ricevuto le immagini satellitari, molto nitide, che mostrano le aree boschive schiantate - dice il commissario straordinario Luca Zaia -. Le immagini sono cruciali per l’individuazione dei lotti funzionali su cui articolare le gare d’appalto per la rimozione. In Veneto sono interessati complessivamente circa 100.000 ettari; gli alberi abbattuti assommano a 30.000 ettari, cioè 10 milioni di metri cubi di legna». 
AUTARCHIA IMPOSSIBILE 
Una cifra monstre. Per comprenderla in tutta la sua interezza, basta un rapido confronto con la quantità di legno lavorata annualmente dalle segherie italiane: circa 1 milione di metri cubi. Le segherie bellunesi lavorano circa 60mila metri cubi di legno all’anno. Se la matematica non è un’opinione, la soluzione è una sola: le imprese italiane da sole non ce la faranno mai a trasformare tutto il legno rimasto a terra dal maltempo. Lo sa benissimo anche il commissario straordinario. «La priorità verrà data alle ditte locali, che però non basteranno - sottolinea Luca Zaia -. Perché ci vorrebbero cento anni per rimuovere tutto contando solo sulle imprese di zona. Quindi, spazio anche ad altre aziende da fuori. E poi, siccome quasi metà delle aree interessate dall’esbosco è dei privati, dico ai veneti che non è vietato collaborare nel rimuovere i tronchi. E se poi arrivano i carabinieri, che vengano pure da me». 
SINERGIE INTERNAZIONALI
Non arriveranno i carabinieri, ma potrebbero arrivare gli austriaci. Il settore della prima lavorazione del legno è molto più sviluppato oltralpe (le segherie della Carinzia e del Tirolo hanno un fabbisogno annuo di quasi 20 milioni di metri cubi di legno). Qualcuno però teme un intervento austriaco, paventando un crollo dei prezzi dei tronchi e una sorta di sciacallaggio. «Se si riuscisse a distribuire l’enorme volume di merce su un mercato più vasto, coinvolgendo le segherie austriache, ed in primis l’associazione delle segherie austriache, l’impatto negativo di una sovraofferta potrebbe essere contenuto - sostiene invece Enrico Coletti (il cui bisnonno aveva una segheria a Perarolo) e responsabile per il mercato italiano di una delle principali industrie del legno austriache -. Diversamente, qualora ci chiudessimo in un atteggiamento nazionalistico e tentassimo di ripulire i nostri boschi solo con le forze delle nostre industrie, assisteremmo ad un drammatico crollo dei prezzi della materia prima e al deperimento della stessa. Infatti, il problema principale è portare fuori dai boschi, il prima possibile, tutti questi milioni di tronchi che giacciono a terra in preda ai parassiti e alle muffe». Il valore degli alberi schiantati è sicuramente più basso dei tronchi normali. Ma la cooperazione italo-austriaca potrebbe essere una soluzione per salvare il salvabile.
Ultimo aggiornamento: 07:52 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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