Egregio direttore,
guardiamo quello che desideriamo guardare, vediamo fin dove si può. Dimentichiamo criteri di giudizio e valori che noi stessi abbiamo deciso (un tempo) di adottare. Stipuliamo patti, negoziamo contratti: ci impegniamo, quindi, per vedere riconosciuti i nostri diritti. E poi tralasciamo di adempiere ai nostri doveri. Un esempio di cronaca giudiziaria: il fine pena di Giovanni Brusca. Proprio lui: u verru (il porco), lo scannacristiani, lo scioglitore di ragazzini. Ebbene sì: dopo 25 anni di reclusione, uno di noi (in quanto persona) ha legittimamente ottenuto la libertà. Non è evaso. Non ha corrotto il giudice di sorveglianza. Semplicemente, ha scontato la pena che un quarto di secolo fa aveva legittimamente negoziato con lo Stato. Do ut des. Io ti do i nomi dei miei colleghi a delinquere, e tu mi riduci il numero di anni da trascorrere in una condizione di sub-umanità. Legittimamente. Si è subito alzato un polverone di ipocrite elucubrazioni Dopo tutto l'orrore che il mostro è stato capace di aggiungere al già molto orrore presente nel mondo? E se tornasse a delinquere, magari più feroce di prima? Un altro caso di giustizia ingiusta! E via elucubrando. Pare addirittura offensivo della logica e del senso comune suggerire che, forse, grazie alla decisione di collaborare con i magistrati, il signor Brusca ha di fatto impedito nuovi e maggiori orrori. Anzi togliete pure quel forse.
Patrizio De Gregori
Caro lettore,
comunque la si guardi la scarcerazione di Giovanni Brusca è dura da accettare. È persino difficile convincersi che sia davvero giustizia quella che rimette in libertà dopo soli 25 anni, un uomo di tale ferocia e che ha commesso quei delitti.