È vero, usiamo (gratuitamente) troppi termini stranieri, ma evitiamo l'integralismo linguistico

Sabato 20 Giugno 2020
1
Spettabile direttore,
inglesismi, francesismi (souvenir, savoir-faire, verve, rendez-vous, pendant), germanismi(leitmotiv, diktat, blitz) per citare alcuni, vocaboli usati frequentemente nella parlata italiana. Alcuni pensano che bisogna accettarli per integrazione culturale ovvero per convivere in una società linguistica cosmopolita di che piano piano infetta viralmente la nostra lingua , ma che comunque resta liberalmente al colloquiatore di usarla a proprio piacimento intellettivo. Ed allora che dovremmo dire di altre nazioni, fattispecie anglofone, che usano espressioni italiane solo in argomenti gastronomici come pizza, spaghetti, maccaroni, lasagne.. e il mandolino?
Giancarlo Lorenzon

Caro lettore,
in queste settimane abbiamo pubblicato molte lettere di protesta sull'abuso di termini inglesi. Un fenomeno che, con l'emergenza coronavirus, si è ulteriormente accentuato, imponendo termini finora ignoti ai più: da lockdown a cluster. Personalmente conduco da anni una piccola battaglia per convincere i miei colleghi a limitare al massimo il ricorso a termini stranieri e ad evitarli accuratamente nei titoli degli articoli. Purtroppo non posso dire di aver raggiunto l'obiettivo: anche sul Gazzettino mi capita con troppa frequenza di trovare termini inutilmente presi a prestito dall'idioma anglosassone. Naturalmente ciò ha anche una sua ragione. La lingua inglese, in particolare, ha il dono della sintesi: in una parola, spesso anche breve, riesce a esprimere con efficacia concetti che in italiano imporrebbero il ricorso anche a due o tre termini. Il nostro idioma ha molte altre qualità, non questa. Ciò detto, il problema esiste. E condivido gran parte delle lamentele dei lettori. Attenzione però a non cadere nello sciovinismo o nell'integralismo linguistico. Perchè alcune parole, benchè straniere, ormai fanno parte del nostro bagaglio linguistico. E ci sono realtà, penso per esempio a quella delle tecnologie, che sono figlie del mondo anglosassone e ne hanno inevitabilmente mutuato il linguaggio. Pretendere di tradurre in italiano ogni parola straniera sarebbe sbagliato e, in qualche caso, anche ridicolo. Dovremmo forse, come fanno i francesi, rifiutarci di usare il termine computer e chiamarlo programmatore? O cancellare la parola pressing dal nostro vocabolario non solo sportivo? O tradurre savoir-faire in saper fare che, con tutta evidenza, ha un significato assai diverso? Non so come si traduca in un un'altra lingua l'espressione buon senso. In italiano il suo significato è chiarissimo e anche in questa situazione potrebbe suggerirci come comportarci.
Ultimo aggiornamento: 14:38 © RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci