Ciclone Sardegna, a Olbia esplode la rabbia: «Abbandonati da tutti nessuno ci ha avvertito»

Mercoledì 20 Novembre 2013
Ciclone Sardegna, a Olbia esplode la rabbia: «Abbandonati da tutti nessuno ci ha avvertito»
dal nostro inviato Nino Cirillo OLBIA - Per tre ore buone, tra le sei e le nove di sera, questa città è scomparsa dal mondo. Un puntino sulle carte geografiche che non c’era più: flagellata da una tempesta così straordinaria, così crudele, che nessuno fino ad ora ha avuto il coraggio di affibbiarle un nome diverso da Cleopatra.



Punteggiata di canali, come una piccola Venezia che nessuno conosceva, Olbia è praticamente esplosa: l’acqua s’è alzata anche di due metri sulla strada ed è avanzata a coprire e a distruggere. I segni sono ancora lì sui muri a mostrare lo sfregio che è stato compiuto, una ferita che chissà quando si rimarginerà. Neppure i ricordi aiutano. Neppure le immagini in bianco e nero della visita del presidente Einaudi agli alluvionati di Sallarbus, anno di grazia 1951, e tanto meno il ciclone di Capoterra di cinque anni fa, che giusto ieri se ne celebrava il processo. Niente, non c’è mai stato niente da queste parti, a ricordo d’uomo, di simile a questo. Simile a questa furia che ha mandato via la luce, ha fatto andare in tilt i telefonini, ha riempito le dighe e squassato i ponti, ha seminato il terrore.



Circolano dei video, girati nella notte, in cui da un capo all’altro della stessa strada gli abitanti chiedono aiuto l’uno all’altro. Non hanno altra forza, non hanno altro mezzo che le loro urla disperate. Ci sono vecchi che non si possono muovere, magazzini pieni di merce che andrà alla malora, bambini che piangono, ma non si muoverà nulla: la «bomba d’acqua» ha i suoi tempi, andrà via a distruzione compiuta.



TORNA IL SOLE

Il sole che s’affaccia un poco al mattino è una presa in giro, giusto per illuminare meglio le macerie, giusto per far brillare le lacrime. Ma almeno si capisce cos’è veramente accaduto: questo ciclone s’è abbattuto sulla parte meno nobile della città, ha trascurato il centro storico e il lungomare per concentrarsi sulle prime alture, su Monte Pino, su Bandinu, su Poltu Quatu, fino a trasformare Corso Vittorio Veneto in un infinito budello di auto in coda, fra garage scomparsi alla vista, negozi distrutti e gente disperata. Fausto Spano, per dire il primo, s’è fatto intervistare da mille tv: «Cinquanta anni di lavoro e ora è tutto qui, tutto distrutto». Gli viene solo da piangere, neanche l’orgoglio di gallurese l’aiuta. E gli si fanno intorno gli altri , tutti a dire più o meno la stessa cosa, tutti a martellare più o meno con la stessa domanda: «Ma perché non ci hanno avvertiti?». Proprio mentre da Roma, e anche una volta arrivato qui, il capo della Protezione civile Gabrielli continua a insistere: «Abbiamo dato l’allarme che dovevamo dare». Ma sono due verità che nient’affatto si escludono. E’ un dramma che ventiquattr’ore dopo si tocca con mano, tra un’idrovora e l’altra, lungo le strade impazzite di traffico.



Perché a Olbia ci sono i morti da piangere e anche duemilatrecento persone che non hanno più una casa, che stanno cercando riparo nella abitazioni dell’estate, negli alberghi sulla costa, da qualche parente. Perché oltre a questi tremila, ci sono tutti gli altri, quelli che vagano tra i magazzini, quelli che vorrebbero recuperare un oggetto prezioso, quelli che debbono difendersi dagli sciacalli. E solo gli sciacalli mancavano, gente che va in giro a distribuire volantini con su scritto «lasciate le case». Uno l’hanno preso, altri sono scappati. «Siamo stati lasciati soli». E’ quello che dicono tutti e che dice soprattutto Fausta Bencello, una che il suo bed and breakfast l’ha postato su facebook e messo a disposizione dei senza casa: «Ho una madre di 80 anni, cardiopatica. E’ rimasta sola per quattro ore. Solo con un po’ di fortuna io e mio fratello siamo riusciti alla fine a portarla in salvo».



Non riesce a trattenere la rabbia neppure Martina, insegnante di un asilo nido: «Perché non ci hanno avvisato? Fino a un’ora prima queste aule erano piene di bambini...». Ma già guarda al futuro: «Dobbiamo ricominciare subito, dobbiamo rimettere tutto a posto perché le famiglie hanno bisogno di questo servizio». E lo dice in una regione schiacciata dalla crisi, dove si calcola che un abitante su tre viva sotto la soglia della povertà.



I SOCCORRITORI

Poi c’è il lavoro dei soccorritori, un lavoro immane. Alla fine della giornata ne tira le somme, stravolto dalla fatica, il comandante dei Vigili del fuoco Angelo Porcu, e lo fa con il suo linguaggio: «A questo punto non riteniamo che vi siano altre possibili vittime». Vuol dire che hanno perlustrato dappertutto, che gli uomini delle squadre fluviali non hanno trascurato un canale, un garage, un seminterrato. Ma questo non esime il comandante Porcu da altre considerazioni: «Il ciclone? È come un’unghiata che distrugge e porta via».



E ancora, per spiegarsi meglio: «Accade sempre quando non si fa un uso rispettoso della natura».
Ultimo aggiornamento: 18:20

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