Scajola usava Viber e Skype
per non essere intercettato

Sabato 10 Maggio 2014
Claudio Scajola
​Nelle conversazioni tra Claudio Scajola e Chiara Rizzo spesso si indicava il figlio di Matacena, ma in realt ci si riferiva all'imprenditore latitante. È quanto rileva il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Reggio Calabria, Olga Tarzia, che ha emesso l'ordinanza nei confronti di Scajola ed altre sette persone per il favoreggiamento della latitanza di Amedeo Matacena. «È possibile rilevare - scrive il giudice - che le conversazioni tra Claudio Scajola e Chiara Rizzo spesso sono schermate, allusive ed indirette, nel tentativo di non fare comprendere, nell'ipotesi di intrusione il soggetto cui si riferiscono nei loro dialoghi, alludendo ad esempio in un caso al figlio della Rizzo, ma in realtà riferendosi ad Amedeo Matacena».



Anche i nuovi strumenti di comunicazione come Viber e Skype sono stati utilizzati da Claudio Scajola e Chiara Rizzo in occasione dei loro numerosi contatti allo scopo di evitare di essere intercettati.

Oltre a quelle intercettate ci sono «altre conversazioni - è scritto nell'ordinanza - che sono parziali e conseguono a pregresse conversazioni e/o interlocuzioni che i due hanno avuto attraverso l'utilizzo di altri sistemi di comunicazione, tipo Viber o Skype, non intercettate».
Ultimo aggiornamento: 15:44