Franzoni torna a casa dopo 6 anni di carcere: «Può fare la mamma»

Venerdì 27 Giugno 2014 di Cristiana Mangani
Anna Maria Franzoni
Erano dodici anni che Annamaria Franzoni non sorrideva cos. Un sorriso pieno, emozionato. Scende dall’auto dell’amica Elisabetta Armenti alle 18,34 di ieri, ed è finalmente a casa, a Ripoli Santa Cristina, nel piccolo appartamento in affitto dove vive il resto della sua famiglia. Dove vivono Stefano Lorenzi, il marito che non l’ha mai abbandonata, Davide e Gioele, i suoi ragazzi.





Il Tribunale di sorveglianza le ha concesso di scontare il resto della pena ai domiciliari (tredici anni complessivi), e lo ha fatto sulla base di una perizia psichiatrica nella quale viene sottolineato che «non sussistono condizioni di pericolosità sociale della condannata, perché è evidente che una tale costellazione di eventi non è più riscontrabile e ciò consente di sostenere che non vi sia il rischio che si ripeta il figlicidio come descritto nella sentenza della Corte d’assise d’appello di Torino».



L’ORDINANZA

A leggere le 18 pagine di ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Bologna, che si basano sul supplemento di perizia del professor Augusto Balloni, i veri dolori di Annamaria sono quelli legati al distacco dalla famiglia, ai cattivi rapporti che si sono instaurati nel corso degli anni con suo padre e sua madre dopo le scelte difensive da lui imposte e da lei non condivise, alla sua ossessione di trovare un colpevole dell’omicidio del figlio e a quella di continuare a professarsi innocente. Secondo lo psichiatra, la Franzoni è entrata in carcere dopo la condanna manifestando «la volontà di essere aiutata a superare il momento difficilissimo che stava vivendo, ha accettato di assumere la terapia farmacologica», ma «ha presentato sin dal primo momento il disagio perché stava vivendo una doppia ingiustizia: sente - è scritto nella consulenza tecnica - di aver subito la morte violenta del figlio e ritiene di essere stata punita per un fatto che non ha compiuto».



I DIVIETI

I giudici le hanno concesso il rientro a casa ad alcune condizioni: la principale è il divieto di andare a Cogne. E la decisione non è casuale, perché la donna aveva «ripetutamente espresso la volontà di fare ritorno» nel paese dove suo figlio Samuele è stato ucciso. Lo ha ripetuto tante volte nei lunghi incontri con lo psichiatra. E altrettanto sembra aver detto ai familiari nelle 19 volte che ha ottenuto i permessi premio in questi anni. Il ritorno a Ripoli, comunque, non sarà facile, anche perché - in base alla valutazione degli esperti - dopo il carcere, Annamaria ha cominciato a manifestare un generale disturbo di adattamento, proprio per quella caparbietà con la quale si è sempre ostinata a non accettare la condanna e il carcere. Sarà monitorata di continuo, grazie a incontri con gli psicologi, e alle verifiche che gli assistenti sociali faranno nei confronti dei suoi figli. Gioele, infatti, sembra quello che ha maggiormente risentito dal punto di vista psicologico «della pesante situazione emotiva venutasi a creare in seguito alla detenzione della madre». «In particolare, la donna - è scritto nell’ordinanza - è apparsa preoccupata per la sua situazione scolastica».

Sebbene ieri Annamaria abbia ripetuto più volte al avvocato Paola Savio, che l’ha assistita in tutti questi anni, quanto tornare a Ripoli la riempia di gioia, non sarà tutto rose e fiore. Ma avrà, comunque, il marito Stefano, «con il quale ha un rapporto affettivo forte e una reciproca fiducia», avrà i figli, i fratelli e i nipoti vicini, e potrà anche uscire di casa quattro ore al giorno «per le incombenze familiari». Potrà anche continuare a lavorare per la Cooperativa sociale “Siamo qua” e confezionare le borse lontano da una cella.
Ultimo aggiornamento: 16:34