Il suo cuore batteva forte, troppo forte, batteva da impazzire, fino a farla impazzire, e così lei, con dolore, lo ha fermato. Viene dalla Svezia la tragedia più terribile che possa scivolare via dal mondo dello sport; e racconta che Emilia Brangefalt, a ventuno anni, si è uccisa perché non riusciva più a sopportare l’idea di non poter gareggiare, dopo che le era stato riscontrato un problema al cuore – sorta di tachicardia continua intrecciata allo stress. Forse solo al silenzio si potrebbe consegnare il commento di una storia simile; gravoso è il solo confezionare parole che non pronuncino suoni inutili. Emilia era una campionessa del trail running – una specialità della corsa che si svolge in ambiente naturale, rari i tratti di asfalto – aveva conquistato la medaglia di bronzo nello short trail ai Mondiali del 2022 in Thailandia ed era arrivata quinta ai Mondiali di Innsbruck nel giugno scorso.
I SOCIAL
Sui social Emilia Brangefalt adorava condividere momenti e allenamenti, vittorie e sorrisi insieme agli amici, paesaggi pazzeschi e istanti di quotidianità. Ma durante l’estate, come detto, i toni dei post avevano virato verso il buio. «Da fine luglio il mio corpo si è spento. Solo fare una passeggiata è faticoso ora. Sono stata in ospedale e dal medico almeno venti volte, ogni analisi del sangue, ogni elettrocardiogramma dava risultati ottimi, eppure il mio corpo continua a risultare stressato, anche se gli ho dato solo amore negli ultimi mesi», scriveva. I muscoli, però, erano ormai troppo affaticati, quasi stremati, per poter sostenere certe preparazioni atletiche, specie considerando che Emilia correva su distanze da ultramaratoneta.
«Magari per una ragazza di 21 anni è stato troppo correre la Transvulcanica di 48 km e la WMTRC di 45 a meno di un mese di distanza. Sono devastata perché correre e allenarmi significano così tanto per me. Ma ora come ora anche solo vivere è difficile. Ho trascorso più ore a letto che in piedi nell’ultimo mese. Forse un giorno tornerò. O forse no. Spero di riprendermi». Eccolo, l’allarme. «Forse un giorno tornerò. O forse no». Emilia Brangefalt aveva lanciato un grido di aiuto, ma pochi hanno ascoltato. E, dieci giorni fa, si è sfilata dalla vita, scegliendo la morte. Il suo gesto dovrebbe allora interrogare soprattutto gli educatori e allenatori degli atleti più giovani, oltre che gli organizzatori di alcune discipline. Perché sottoporre la mente e il corpo a pressioni psicologiche e fisiche chiaramente insostenibili di sicuro non è sport. Se mai è il suo contrario.