Draghi in Usa, un patto per l'Italia

Lunedì 9 Maggio 2022 di Giovanni Castellaneta

L’imminente visita di Mario Draghi alla Casa Bianca  avviene in un momento cruciale a livello internazionale: non solo per la guerra in Ucraina che sembra ancora ben lungi dall’avviarsi verso una conclusione, ma anche per il preoccupante rallentamento dell’economia globale che richiederà risposte ponderate e il più possibile coordinate.

Senza contare anche le altre aree di crisi a noi vicine, dal Nordafrica con una Libia ancora in cerca di stabilizzazione ai Balcani che rischiano di allontanarsi dall’Unione Europea che sembra non abbia tempo per ascoltare le loro aspirazioni all’adesione. Tempestivo e strategico dunque questo incontro tra Draghi e Biden: il premier, forte della sua estrema competenza nelle questioni economiche e della sua autorevolezza internazionale, può porsi agli occhi del Presidente americano come un interlocutore affidabile in grado di parlare a nome dell’Europa intera. Con buona pace di Macron che, forte della riconferma alle recenti elezioni, ambisce a fare della Francia il motore dell’Ue per i prossimi cinque anni ma deve aspettare almeno i risultati delle elezioni parlamentari in giugno.

Finché sarà a Palazzo Chigi, Draghi sarà nella condizione di far valere il proprio prestigio per rafforzare la considerazione internazionale dell’Italia. La sintonia di questi ultimi mesi con gli Stati Uniti, cresciuta ulteriormente dallo scoppio della guerra in Ucraina, consente al nostro Paese di essere fedele alleato di Washington senza risultarne subalterno o allineato in maniera acritica. La maggiore prudenza adottata dal Governo italiano sull’imposizione di sanzioni alla Russia in ambito energetico – non per ambigua equidistanza ma in nome di un approccio cauto e graduale, volto a tutelare l’economia e il sistema produttivo - potrebbe porre Roma in prima linea tra i Paesi chiamati a facilitare i negoziati tra aggressore e aggredito e partecipare poi alla ricostruzione dell’Ucraina. Insomma, l’Italia potrebbe giocare un propulsivo ruolo di guida che viene apparentemente sottovalutato, peraltro in un momento in cui l’amministrazione Biden attraversa un periodo di difficoltà e calo di consensi, anche a causa di contrasti non solo da parte dell’opposizione repubblicana ma anche all’interno dei democratici per come è stato gestito il conflitto fino ad ora. Ad esempio, le recenti “soffiate” del New York Times sul presunto ruolo attivo dell’intelligence americana nell’eliminazione di generali dell’esercito russo e nello svolgimento di altre azioni di contrasto all’apparato militare russo potrebbero essere lette come un tentativo per ammorbidire le azioni di Biden di esplicito sostegno a Kiev, considerate in alcuni ambienti troppo “muscolari” e rischiose per la reazione che potrebbero stimolare da parte della Russia.

Parlare solo di Ucraina però sarebbe riduttivo, e immaginiamo che il colloquio alla Casa Bianca sarà incentrato anche su altri temi prioritari quali l’aumento dei costi dell’energia, la progressiva normalizzazione della politica monetaria (già iniziata dalla Federal Reserve con i primi rialzi dei tassi di interesse, ma rimandata per il momento dalla Banca Centrale Europea), e le ricette per scongiurare quella che sarebbe la seconda recessione in tre anni , la preparazione del prossimo G7 a livello Capi di Stato e di Governo ed infine i rapporti economici bilaterali dalla collaborazione nel campo della industria della difesa e spaziale, agli investimenti in campo tecnologico all’import/export trainato da un dollaro ora a livelli di cambio assai alti.

Inoltre, sarebbe opportuno se tra Draghi e Biden si parlasse anche del futuro dell’Ue: nell’ottica di un rafforzamento delle relazioni transatlantiche e di una Nato in cui i partner europei si assumono maggiori responsabilità, l’allargamento dell’Europa ad altri Paesi (per il momento quelli che fanno parte dei Balcani occidentali e l’Ucraina e poi gli altri aspiranti fino ad arrivare ai 27 membri più 9 in una nuova configurazione istituzionale) unito ad una riforma dei processi decisionali in senso maggiormente federalista (auspicata proprio da Draghi nel suo recente discorso al Parlamento europeo) dovrebbero essere processi ben accolti e sostenuti da Washington nell’ottica di una migliore “divisione del lavoro” tra alleati.

Mentre Macron è ancora in attesa di capire a giugno quanto forte sarà la maggioranza politica su cui basare il prossimo mandato e in Regno Unito (tradizionalmente il maggiore alleato degli Usa) il potere di Boris Johnson è ormai praticamente dimezzato tra scandali, economia in rallentamento, tensioni in Irlanda del Nord ed elezioni amministrative deludenti, ed il cancelliere tedesco non riesce ancora ad imporsi sulla scena internazionale, si apre per Draghi e l’Italia una finestra di opportunità da sfruttare con rapidità ed intelligenza accompagnata dal consenso di tutte le forze politiche che sostengono questo governo.

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