I segnali di ripresa non bastano a far rialzare le imprese ancora in ginocchio a causa della pandemia.
La dinamica registrata nell'ultimo mese sottintende, peraltro, una flessione in termini congiunturali, conseguenza del fatto che fino al 26 aprile l'intero Paese è stato suddiviso in zone rosse e arancioni. Il recupero statistico, spiega ancora Confcommercio, ha interessato in misura principale il settore dei servizi per i quali la variazione su base annua si attesta al 69,4%. Al di là del riscontro numerico senza precedenti, si tratta, nella realtà, di incrementi in volume minimi rispetto a un livello di attività che da marzo del 2020 è stato praticamente nullo. Se si guarda al confronto con aprile 2019 emergono, infatti, in molti casi, crolli prossimi o superiori al 70%. Ed è proprio in questi settori, avverte soprattutto della filiera turistica e ricreativa, che si concentrano i rischi di chiusure di attività se non verrà data al più presto la possibilità di operare in modo meno restrittivo, oltre che a intervenire con adeguati sostegni.
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Come indica Confcommercio, dopo un primo trimestre di contrazione dell'attività produttiva, seppure meno elevata rispetto alle stime, e un aprile ancora in negativo, nel mese di maggio l'economia italiana mostrare una variazione congiunturale ampiamente positiva. Le riaperture, seppure parziali, e il progressivo allentamento delle misure di limitazione al movimento delle persone, potrebbero spingere il Pil del 3,7%, nella metrica destagionalizzata rispetto ad aprile. Su base annua, la variazione stimata è del +10,7%. Indicazioni, queste, coerenti con il raggiungimento di una crescita prossima al 4% nel complesso del 2021. Riflettori puntati poi sull'inflazione. Per il mese di maggio si stima un aumento dello 0,1% in termini congiunturali e dell'1,4% su base annua, confermando la tendenza alla ripresa dell'inflazione.
L'evoluzione continua ad essere guidata dagli energetici. Ed è proprio sul fronte dei prezzi che suona forte l'allarme di Confartigianato. Ad aprile gli aumenti dei prezzi delle commodities non energetiche sono stati del 33,4% rispetto ad un anno prima, con un'accelerazione dei rincari che a marzo di quest'anno si attestavano al +24% rispetto allo stesso mese del 2020. Un'impennata che può provocare una batosta per le piccole imprese manifatturiere italiane per l'acquisto di beni necessari alla produzione: tradotto in denaro, Confartigianato stima un impatto potenziale di 19,2 miliardi di euro in più in un anno a carico di 621.000 artigiani e piccole aziende.
Nel dettaglio, l'aumento dei prezzi delle materie prime sta colpendo il comparto delle costruzioni e i settori manifatturieri di metallurgia, legno, gomma e materie plastiche, mobili, autoveicoli, prodotti in metallo e apparecchiature elettriche. In questi settori operano 621.000 piccole imprese con 1.893.000 addetti, con una elevata presenza dell'artigianato, pari a 435.000 imprese che danno lavoro a 1.047.000 addetti. Secondo Confartigianato i rincari maggiori si registrano per i metalli di base con +65,7% tra marzo 2020 e marzo 2021. Particolari tensioni per minerale di ferro con rincari annui del +88,1%, seguito da stagno (+77%), rame (+73,4%) e cobalto (+68,4%). E ancora zinco (+46,7%), nickel (+38,5%,), alluminio (+36,%), molibdeno (+32,4%). Allarme anche sul fronte delle materie prime energetiche, i cui prezzi a marzo 2021 aumentano addirittura del 93,6% su base annua. Il presidente di Confartigianato Marco Granelli, in una lettera inviata al ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, ha chiesto l'intervento immediato del governo sollecitando «forte attenzione al fenomeno e la messa in campo degli strumenti che possano rimettere in equilibrio domanda e offerta, nel rispetto della concorrenza e delle norme che ne regolano le restrizioni.
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