Emigranti con il loro «talìan». La ricercatrice Miazzo studia le lingue mix tra gli idiomi d'origine e quelli di approdo

Mercoledì 24 Maggio 2023 di Paolo Piovesan
Emigranti con il loro «talìan». La ricercatrice Miazzo studia le lingue mix tra gli idiomi d'origine e quelli di approdo

Se qualcuno chiedesse fin dove si estende l’Italia quale sarebbe la risposta più adeguata? Sebbene appaia un quesito elementare, approcciandosi al lavoro di Giorgia Miazzo, ci si rende conto che forse la risposta debba trascendere i confini convenzionali delle cartine politiche per considerare una realtà talvolta ignorata: le comunità italiane all’estero.
Del resto, racconta la viaggiatrice padovana, se lo Stivale consta di circa sessanta milioni di abitanti «in Brasile troviamo la prima comunità italiana al mondo per numero con trenta milioni di presenze, di cui dodici milioni di provenienza veneta» ed ecco che i confini sfumano e il concetto di “Italia” si fa sempre meno circoscritto.
Da sempre appassionata di lingue, Giorgia Miazzo ottiene la laurea in Mediazione Linguistica e in Traduzione Tecnico-Scientifica fino a quando nel 2007, poco prima di conseguirne un’altra in Glottodidattica, le si presenta un’occasione che segnerà i suoi progetti di vita: recarsi in America latina per partecipare al progetto accademico-professionale “Cantando in Talian”, incentrato sul promuovere la tutela della cultura e lingua venete in Brasile.


OLTREOCEANO
Tenendo decine di corsi e centinaia di conferenze, passano gli anni e l’amore per la cultura unita al contatto con le comunità italiane fa sempre più chiarezza alla ricercatrice sulla sua vocazione: «Il contenuto del mio lavoro», spiega, «è legato al valore del “patrimonio immateriale” degli italiani (quello che siamo stati, che sappiamo fare, che possiamo dare) all’epoca delle grandi migrazioni. Ho cominciato a capire che chi ha a che fare con i patrimoni immateriali per lavoro ha il dovere di salvaguardarli e trasmetterli». Ha inizio così per Giorgia Miazzo un viaggio verso le comunità italiane nel mondo che coinvolgerà Europa, Africa, Asia e che metterà in moto la fondazione del Centro Studi Grandi Migrazioni: «si tratta al tempo stesso di un contenitore per tutelare il lavoro di ricerca di questi anni e di un’interfaccia comunicativa con i musei, con i quali puntualmente condividiamo materiale inedito sulla storia delle grandi migrazioni».


L’IDENTIKIT
Docente, interprete, giornalista e tour leader, è difficile circoscrivere Miazzo ad una singola professione; oggi si racconta nelle vesti di scrittrice di «La Mèrica degli italiani. Le Grandi Migrazioni negli Stati Uniti e in Canada» (Biblos) (info@centrostudigrandimigrazioni.org e che è stato promosso dal Centro studi grandi migrazioni e dal Lions Club Padova Gattamelata). Testimone del passaggio dell’autrice dal Sud al Nord America, lo scritto ricostruisce la storia delle migrazioni italiane verso Stati Uniti e Canada la cui onda lunga ha consolidato oggi una comunità di circa venti milioni di discendenti. Parlando della raccolta delle fonti, da un lato Miazzo ribadisce l’importanza della ricerca d’archivio: «è fondamentale collaborare con gli archivi pubblici, proprietari di un patrimonio meraviglioso; anzi, ritengo che certe lettere e fotografie da sole siano in grado di raccontare la nostra storia migratoria».


IL VALORE DI COMUNITÀ
Dall’altro insiste sul valore inestimabile del contatto umano con i membri delle comunità: «la parte forse più incisiva della ricerca è ricavare testimonianze e documentazioni dai fondi privati, il che significa entrare nella vita e nell’intimità delle famiglie. Si crea una dinamica unica in cui talvolta vengo considerata come parte della famiglia allargata in quanto italiana che ha riportato alla luce la loro storia dimenticata». Così, poggiandosi su questa duplice base, il libro ripercorre in primis l’emigrazione degli italiani verso gli Stati Uniti attraverso quattro fasi: dalla fine dell’Ottocento caratterizzata da tre milioni di emigrazioni «allo sbaraglio», ai nove milioni regolamentati e tutelati del primo quindicennio del Novecento; dai pregiudizi e dal freno delle partenze durante gli anni della Seconda guerra mondiale, alla sempre più pacifica normalizzazione del fenomeno migratorio nella nostra contemporaneità. 


CANADA E STATI UNITI
È all’interno di quest’ultima fase che il libro ripercorre poi l’emigrazione in Canada: «specchio del periodo storico in cui raggiunge l’acme», spiega l’autrice, «l’emigrazione in Canada è estremamente più agevole, umana e caratterizzata dall’apertura a differenti valori». Nell’affrontare il tema specifico dello spostamento dal paese d’origine alle diverse destinazioni, La “Mèrica degli italiani” non manca di prendere in esame i diversi fenomeni legati alla conseguente «colonizzazione»: lo stabilizzarsi di una quotidianità e di una cultura degli immigrati attraverso l’inserimento scolastico, lavorativo e la stampa; la discriminazione tanto razziale, come l’anti-italianismo, quanto di genere nei confronti delle “women of the shadow” (“donne in ombra”) considerate incapaci di entrare attivamente nella cultura ospitante. Ma il più incisivo valore aggiunto, in continuità con gli studi dell’autrice, è probabilmente la lettura del fenomeno migratorio in chiave linguistica: la semantica e il periodo in cui nascono nuovi idiomi, come il “Siculenglish” negli Stati Uniti o l’«Italiese» in Canada, già di per sé raccontano molto del contesto sociale vissuto dalle comunità corrispondenti.

La stessa autrice si mostra sicura nell’affermare che «per valutare la saldezza dell’identità di un gruppo di individui espatriati, la lingua sia uno degli indicatori più importanti». 


NUOVI ORIZZONTI
Dunque, fin dove si estende l’Italia? Per Giorgia Miazzo la risposta è chiara: «allargando i propri orizzonti, si comprende quanto il nostro paese non abbia dei confini fisici legati alla bandiera ma possegga delle diramazioni, ossia quegli “ambasciatori”, come mi piace definirli, che ci rappresentano all’estero». In questo senso, leggere “La Mèrica degli italiani” non significa solo apprendere fasi storiche che ci legano a realtà distanti ma piuttosto scoprire una storia inedita del nostro stesso paese, capace di avvicinarcene sempre di più: «personalmente mi sento italiana solo quando entro in contatto con queste comunità», ammette Giorgia Miazzo, «è come quando, di fronte a un quadro, bisogna allontanarsi per capirne appieno il valore; così, spesso guardiamo l’Italia dall’Italia ma bisogna guardare il mondo dal mondo affinché si ricompatti il nostro senso identitario che oggi non è scontato sia ben presente a tutti».

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