Chiara Pavan
CHIARA LETTERA di
Chiara Pavan

"Tomàs Nevinson", i dilemmi di Marìas davanti alla "giustizia"

Giovedì 14 Aprile 2022 di Chiara Pavan
Lo scrittore spagnolo Javier Marìas

«Uccidere non è un gesto così estremo se si ha piena nozione di chi si sta uccidendo». Javier Marias mette sempre il lettore davanti a grandi domande: avessimo avuto Hitler nel mirino, che avremmo fatto? Friedrich Reck-Malleczewen, nel suo diario, racconta di aver incontrato il dittatore nel 1932 in un ristorante di Berlino. Hitler era senza guardie del corpo, mentre lui aveva con sé una pistola. Avrebbe potuto sparargli, ma non lo fece. E terminò i suoi giorni a Dachau. Da qui riflessione: siamo davvero sicuri che non uccideremmo mai nessuno? Il nuovo e potente romanzo del grande scrittore spagnolo, “Tomas Nevinson” (Einaudi, 22 euro), sorta di seguito del precedente “Berta Isla” del 2017 - o meglio un’altra faccia della stessa medaglia - si interroga proprio su questi dilemmi morali, riflettendo sul male, sul senso dell’odio e della vendetta, sul valore della giustizia, chiedendosi fino a che punto è lecito spingersi. Per farlo, Marias si affida a una spy story, congegno classico e funzionale che però, come sempre accade con l’autore di “Domani nella battaglia pensa a me” o “Un cuore così bianco”, sa infilarsi nelle pieghe più tortuose e insondabili dell’animo umano, scavando nella mente dei personaggi, nelle loro motivazioni, lasciando affiorare i pensieri più torbidi e cupi. Spingendo il lettore a domandarsi da che parte stare.

LA STORIA

«Ho avuto un’educazione all’antica, e non avrei mai creduto che un giorno mi si potesse ordinare di uccidere una donna». Parte da questo interrogativo la spia Tomas Nevinson, figlio di un inglese e di una spagnola, vissuto a Madrid con studi a Oxford, ricontattato dal suo ex capo dei servizi segreti britannici per individuare, in un mini-gruppo di tre donne, una terrorista dell’Ira poi prestata all’Eta che ha partecipato in Spagna ad attentati tremendi. I servizi temono che la donna, che vive sotto falso nome in una tranquilla cittadina del nordovest della Spagna, possa ritornare in attività. Siamo a fine anni ‘90, il Muro è caduto, i governi cercano di sistemare i propri problemi interni, le Torri Gemelle e le migrazioni di massa sono ancora lontane. La spia Nevinson, il marito scomparso e dato per morto di Berta Isla, si rimette al lavoro sotto il falso nome di Miguel Centurion, e comincia a indagare sulle tre donne, ognuna delle quali si è costruita una vita di tutto rispetto, chi con marito e figli, chi con una solida attività imprenditoriale.

 

LO STILE

Col suo periodare lento e riflessivo, ma nello stesso tempo incisivo e diretto che scivola dalla prima persona del protagonista Tomas alla terza dell’alter ego Centurion, Marias affronta temi complessi e dolorosi, come il terrorismo dell’Eta (viene in mente il collega Ferdinando Aramburu con quel capolavoro di “Patria”), le dinamiche dello spionaggio, le doppie realtà fatte di sospetti, paura di sbagliare, tentennamenti e ripensamenti, la capacità, più o meno sviluppata dentro di noi, di individuare il male assoluto e di separarlo dal bene in un mondo dove è sempre più difficile capirlo. Dove il male, anzi, è sempre in agguato. «Il concetto moderno di crimini di guerra è ridicolo, è stupido perchè la guerra consiste soprattutto di crimini su tutti i fronti e dal primo all’ultimo giorno - avverte profeticamente Marias -. Quindi le cose sono due: o non si combatte oppure bisogna essere disposti a commettere i crimini necessari, quelli che servono per raggiungere la vittoria una volta che si è cominciato».

IL LATO OSCURO

Lo scrittore si chiede così cosa significhi vivere il lato oscuro della geopolitica attiva. E cosa significhi davvero premere il grilletto nel nome di una giustizia che arriva anche decenni dopo. «Noi non dimentichiamo - dice il capo Tupra a Nevinson - e la vendetta non ci appartiene». Ma è difficile non avvertire la rabbia davanti all’Eta che uccide indiscriminatamente politici, poliziotti, passanti, donne e bambini, è difficile non invocare “giustizia”. Eppure, come insegnano all’MI6, «la crudeltà è contagiosa, l’odio è contagioso, la fede è contagiosa. Si trasforma in fanatismo alla velocità del lampo. La follia è contagiosa, la stupidità è contagiosa, e spesso tutti e cinque vanno insieme, una chiama l’altra, e quando compare il pacchetto completo, non c’è più niente da fare, non resta che dichiarare guerra al mostro e schiacciarlo». Schiacciare nel nome della giustizia.

IL VIAGGIO

Marias si inoltra dentro il nostro concetto di umanità e disumanità, ci invita a vedere, a guardarci dentro. E giocando con riferimenti e citazioni letterarie, da Shakespeare a Blake, Dante, Yeats e Donne, ci porta a condividere le perplessità del suo eroe davanti ai limiti di ciò che è lecito fare, sulla macchia che spesso accompagna la volontà di evitare il male peggiore, e soprattutto sulla difficoltà di determinare quale sia quel male. «L’unico modo per non farsi domande sull’inutilità di ciò che si è fatto in passato è continuare a farlo: la sola possibilità di giustificare una vita torbida è continuare a intorbidirla». Non c’è via d’uscita. 

Ultimo aggiornamento: 21:51 © RIPRODUZIONE RISERVATA