Chiara Pavan
CHIARA LETTERA di
Chiara Pavan

Anagoor, dal teatro al cinema: la distruzione della civiltà Incas in "Todos los males"

Domenica 11 Giugno 2023 di Chiara Pavan
Un momento del film "Todos los males" di Anagoor

Il loro viaggio inizia in una selva verdissima che progressivamente viene sostituita da una foresta ridotta in cenere dalla violenza della colonizzazione. L’oro degli Incas fu sottratto dai “conquistadores” con crudeltà indicibili, inganni e bramosia: tutto, terre e persone, doveva appartenere alla Corona e alla Chiesa. In nome dell’avidità di chi conquista, ai nativi si poteva fare “tutto il male possibile” (todos los males), come riporta un passo di un documento spagnolo del XVI secolo. Ed è proprio con “Todos los males - Tutto il male possibile” che la compagnia teatrale castellana Anagoor, Leone d’Argento alla Biennale di Venezia 2018, debutta nella regia cinematografica. Una progetto «che nasce per caso» l’anno scorso, durante la messa in scena di “Les Incas du Perou/Les Indes Galantes” di Jean Philippe Rameau alla 73. Sagra Musicale Malatestiana di Rimini. Diretto da Simone Derai e prodotto insieme a Kublai film, con lo stesso Derai, Giulio Favotto, Marco Menegoni, Mauro Martinuz, Lucio Scarpa e Marco Caberlotto come produttori esecutivi, “Todos los males” sarà presentato in prima nazionale all’Asolo Art Film Festival il 18 giugno (ore 16.30 Sala della Ragione) «per poi iniziare l’avventura della distribuzione - spiega il regista e anima della compagnia che fa base alla “Conigliera” a Castelminio di Resana - essendo un film d’arte, contiamo di portarlo ad altri festival, nelle piattaforme tv che accolgono questi progetti e nelle sale del nostro territorio, dall’Edera di Treviso al Giorgione di Venezia, il Dante di Mestre e l’Hesperia di Castelfranco».

IL TEMA

Il film nasce inizialmente per documentare la messa in scena dell’opera di Rameau alla Sagra Malatestiana, «ma si voleva fare in modo che emergesse anche un’opera autonoma - aggiunge Derai - Il lavoro scenico aveva al centro un dispositivo video che in un certo senso esponeva le contraddizioni dello sguardo, della rappresentazione dell’arte, dell’idea che ci facciamo di noi stessi e dell’altro». Di qui la necessità di “espandere” la storia in un film di 72 minuti: «Ma non si tratta del film del concerto, pur restando un film musicale cantato. È qualcosa di nuovo. Anche la musica di Rameau viene sottoposta a uno spostamento: Mauro Martinuz con coraggio a volte espande la dimensione sonora, a volte la manomette, così anche la tradizione sonora subisce un trattamento contemporaneo». Al centro di “Todos los males” una storia d’amore impossibile tra la principessa Inca Phani e il conquistador spagnolo Carlos, sullo sfondo della conquista del Perù da parte di Francisco Pizzarro e i suoi, avvenuta tra il 1531 e il 1532. Un amore contrastato da Huascar, sacerdote del culto Inca del Sole, lacerato tra la consapevolezza della devastazione della propria terra e l’amore per la donna. «Oggi non è possibile riprendere “Le Indie Galanti” senza tener conto della distruzione delle civiltà precolombiane ad opera dei conquistadores, della portata e della natura del massacro dei nativi, uno dei più grandi rimossi dell’Occidente, e delle conseguenze storiche del colonialismo nel continente americano e nell’orizzonte globale- osserva Derai - e soprattutto senza interrogare lo sguardo europeo sull’altro. Perché l’atto della colonizzazione non si esaurisce con la conquista violenta dei territori, l’annientamento delle culture esistenti e l’assoggettamento delle genti: alle spalle c’è un pensiero eretto nell’arco di secoli che ne mantiene viva la violenza».

LE RIPRESE

“Todos los males”, interamente girato in Veneto tra campi di mais, allevamenti di alpaca e lama, rive di fiumi e boschi bruciati, porta in scena una piccola rappresentanza della comunità peruviana in Italia: «Un mega pastiche, un regno degli Incas inventato attorno alla nostra Conigliera e al suo interno - ricorda Derai - e finisce per diventare una fotografia autentica di un’Italia rimossa, quella multietnica che corre verso la creazione di un futuro nel tentativo di superare, comprendendolo, il passato». Un tema che la compagnia castellana sta affrontando anche nel prossimo lavoro teatrale, «siamo in fase di scrittura drammaturgica - dice Derai da Trieste, in residenza artistica alla Contrada - il progetto che stiamo mettendo in cantiere adesso vorrebbe tirare le somme di questo percorso, per farlo esplodere in qualche modo». Il titolo sarà “Il polittico dell’infamia” tratto dal “Trittico dell’infamia” dell’autore sudamericano Pablo Montoya «che da poco ci ha autorizzato a metterci le mani - chiude il regista - Sono tre storie che si intrecciano sullo sfondo di un’epoca, la fine del XVI secolo, segnata dal sangue delle persecuzioni dei protestanti e dalle grandi scoperte: attraverso le loro vicende, Montoya traccia un affresco privato e insieme collettivo in cui affronta temi universali come la violenza, l’amore, la religione. E da qui vogliamo domandarci se c’è efficacia nell’arte». 

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