Attacchi nel Mar Rosso, Panama “a secco”, la Rotta della Russia che cresce: la tempesta imperfetta. La logistica ora dirotta sui treni

Alessandro Panaro, economista del centro studi Srm: «Una tempesta imperfetta. Ma la ferrovia non potrà mai sostituire le navi»

Mercoledì 31 Gennaio 2024 di Alessandra Camilletti
Attacchi nel Mar Rosso, Panama “a secco”, la Rotta della Russia che cresce: la tempesta imperfetta. La logistica ora dirotta sui treni

Il Canale di Panama che si abbassa per la mancanza di pioggia e riduce i transiti.

Gli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso che costringono le navi a cambiare percorso (e allungarlo). La Rotta Artica che, invece, registra il suo anno record di movimentazioni. «È chiaro che sono fenomeni differenti. Ma tutte e tre le situazioni possono impattare sul riassetto della logistica globale», sottolinea Alessandro Panaro, responsabile Area di ricerca Maritime & Energy di Srm, centro studi che fa capo a Intesa Sanpaolo. Via mare viaggia il 90% del volume degli scambi globali. La logistica negli ultimi anni era già stata messa a dura prova, prima con la pandemia, poi con la nave Ever Given incagliata nel canale di Suez.

Quindi dai blocchi nel Mar Nero conseguenti alla guerra in Ucraina. E ora si riorganizza.

Dall’inizio, allora. Il Canale di Panama causa siccità ha dovuto ridurre prima a 22 – per risalire a 24 – i transiti giornalieri delle navi, contro i 36 usuali. Il 7 gennaio il sistema di dighe che congiunge l’Atlantico al Pacifico ha raggiunto i minimi storici di profondità: 1,8 metri sotto la norma. Maersk, una delle più grandi compagnie di trasporto marittimo al mondo, il 10 gennaio ha annunciato un “ponte terrestre”, via ferrovia, attraverso la Panama Canal Railway, per trasportare i container dall’altra parte dell’istmo. La rotta tra Oceania e Americhe sarà divisa in due tronconi. «Le navi – spiega Panaro – attraccheranno, sbarcheranno container e materie prime per poi ricaricarli su treni shuttle verso la costa opposta e reimbarcarli». Mar Rosso, ora. La crisi, calcola Confartigianato, tra novembre e gennaio ha provocato danni per il commercio estero italiano pari a 8,8 miliardi. L’instabilità geopolitica in Medio Oriente si inserisce peraltro in un’area di «passaggi strategici per la sicurezza energetica globale. Il 20% del commercio mondiale di petrolio passa dallo stretto di Hormuz e il 10% del traffico di petrolio e l’8% di Gnl transitano da Suez», ricostruisce l’Energy report 2023 di Srm. Nel Mar Rosso – ricorda il bollettino di Bankitalia del 19 gennaio – passa il 16% delle importazioni italiane di beni in valore e il 7% di export. Quanto al possibile aumento dei prezzi, ha già sottolineato a Il Messaggero Luigi Merlo, presidente di Federlogistica, sarebbe utile avviare un «monitoraggio anti-speculazione sui beni finali». Si è più che dimezzato il passaggio delle navi container dallo stretto di Bab el-Mandeb, si è allungato il tragitto verso l’Europa (uno stretto di Gibilterra così trafficato non si era mai visto), sono saliti i costi dei noli. «Tra gli effetti – osserva Panaro – anche un maggior ricorso al treno per evitare Suez e far arrivare a destinazione determinate tipologie di merci; dalla Cina si fa rotta verso la Russia o si passa al di sotto della Russia per raggiungere l’Europa. Pre Covid si contavano 8mila treni l’anno, nel 2023 sono stati circa 17mila». E aggiunge: «Il treno non sarà mai sostituivo di una nave che può contenere 24mila container, ma è il segnale per lo sviluppo di nuove catene logistiche e di ricerca di modalità di trasporto alternative. I convogli arrivano al centro dell’Europa e si possono smistare per le destinazioni finali; anche dall’Italia si stanno disegnando rotte ferroviarie verso il Dragone». Intanto, una società israeliana, la Trucknet, ha iniziato a proporre un servizio di trasporto via terra su camion – rilancia la stampa locale –: da Dubai attraverso Arabia Saudita e Giordania fino a Israele ed Egitto. E Mediterraneo. Rotta Artica, poi.

Al forum One Belt, One Road, a Pechino a ottobre, il presidente russo Vladimir Putin ha parlato di una rete di connettività ferroviaria anche per collegare i porti russi sul Mar Baltico e sull’Artico agli scali del Golfo Persico e dell’Oceano Indiano e la possibilità di aprire la via marittima del Mare del Nord tutto l’anno, dal 2024. Secondo i dati del Center for High North Logistics, nel 2023 il principale corridoio di navigazione dell’Artico ha visto 75 spedizioni di transito per un totale di 2,1 milioni di tonnellate di carico nel 2023 (a metà novembre), superando il precedente massimo stabilito nel 2021. «Anche con il cambiamento climatico, la Rotta Artica non sarà una soluzione sostitutiva a Suez – sottolinea Panaro – È in prevalenza usata da navi che trasportano prodotti energetici e container su determinate rotte, dalla Cina al Baltico o al Mare del Nord. Ci sarà sempre bisogno di navi rompighiaccio in alcune stagioni e di stazioni di bunkeraggio per rifornire le navi. Subentrano poi altre riflessioni: ci sono compagnie che hanno affermato di non ritenere la Rotta Artica utilizzabile per questioni di sostenibilità ambientale. E ci sono gli scenari geopolitici da considerare».

Mar Rosso, Panama, Rotta Artica. È la tempesta perfetta? «Direi imperfetta poiché soggetta alla durata di alcuni eventi – dice Alessandro Panaro – Sarà il tempo, infatti, a dire la soluzione. Il sistema portuale e marittimo ha un elevatissimo grado di resilienza. Essendo i punti di ingresso a livello globale tanti e diversificati, con le dovute cautele, si potrà riadattare la catena logistica, volendo dare un quadro ottimistico». Qualche dato per ritarare la misura. «Al 24 gennaio – riepiloga l’economista – erano 572 le navi che da Suez avevano deviato la rotta per Buona Speranza. Sono tante e iniziano ad arrivare a destinazione le prime. L’aumento di noli e prezzi è concatenato, legato al carburante, agli equipaggi: serve tutto di più. A bilanciamento, se vogliamo, c’è da dire che per transitare per Suez è necessario pagare un pedaggio che non vi è per Buona Speranza». Panama? «I collegamenti europei sono principalmente con le coste orientali – dice Panaro – Al di là di questo, la congestione di un canale crea comunque problemi di rallentamento. Abbiamo notizie di attese di 14 giorni per il transito: da qui le aste per l’aggiudicazione dei passaggi. Il tema logistico è legato al pescaggio: se il livello dell’acqua è più basso, non possono transitare le navi più grandi, costrette a circumnavigare l’America del Sud. Così si allunga il tragitto».

Spiega Rodolfo Giampieri, presidente di Assoporti: «Evidentemente c’è un ripensamento della logistica. La pandemia e le guerre hanno definito una situazione imprevedibile e imprevista. E il mercato risponde sempre in maniera immediata». La prima risposta: «Con reshoring e nearshoring si è accorciata la filiera logistica, per la necessità delle aziende di tenere sotto controllo la catena produttiva». La seconda risposta: «Il ritorno del magazzino. Prima le aziende avevano la scorta al massimo per 30 giorni, perché con il just in time entro 25 giorni da ogni parte del mondo sarebbe arrivato tutto, ora non è più così. Oggi le scorte assicurano una produzione per 60-90 giorni». Qual è l’impatto della crisi di Suez sui porti italiani? «L’impatto è nell’incertezza e nei tempi: 25 giorni di ritardo e si butta in aria il programma produttivo delle imprese. Ma è proporzionale alla durata della crisi: per uno o due mesi è assorbile. Alla lunga, il rischio è che con il cambiamento di rotta le navi possano proseguire verso il Nord Europa invece che entrare nel Mediterraneo. L’elemento durata è fondamentale». Anche per delineare lo scenario. «Il Mediterraneo è tornato al centro grazie all’accorciamento della filiera – dice Giampieri – L’Italia si gioca una grande opportunità, una volta tornati alla normalità. I porti hanno dimostrato efficienza, durante la pandemia non hanno mai chiuso. E con gli investimenti del Pnrr su portualità e logistica gli scali saranno sempre più appetibili. Ci sono 3,4 miliardi, gran parte nel fondo complementare».

I tempi dunque. «La prima fase definibile “a briglia sciolta” della globalizzazione partita a metà anni Novanta e proseguita fino alla fine degli anni 2010 è destinata a non tornare più», sottolinea  Pino Musolino, presidente dell’Autorità di sistema portuale del Mar Tirreno Centro-Settentrionale e dell’Associazione MedPorts che raggruppa 200 scali del bacino mediterraneo. «È evidente che chiunque continui a cercare di reggere la propria analisi sui fondamentali validi fino a qualche tempo fa verrà deluso. E chiunque cerchi di leggere questa fase di instabilità andando troppo in là nel tempo resterà deluso alla stessa maniera. Il momento è di fluidità e di incertezza – prosegue Musolino – È altrettanto evidente che non sia solo un problema di catene logistiche o trasporti, ma che sia in atto un disegno di destabilizzazione che punta a creare un sistema alternativo al modello americano ed europeo e a far emergere contraddizione tra gli alleati occidentali». In questo momento, spiega, tra gli scali, a soffrire la situazione di Suez «sono l’East Med e la parte adriatica». C’è uno spartiacque, rimarca Musolino: «Se la comunità internazionale riuscirà a risolvere la crisi entro sessanta giorni, si avrà una spinta inflattiva sui noli che poi si riassorbirà. Se si superano i sessanta giorni, andando verso  una semistabilizzazione della situazione attuale nel Mar Rosso, si aggiungeranno carenza di materie prime e problemi a esportare il prodotto finito, con ricadute sulla produzione e il rischio di un inizio di recessione che potrebbe portare a conseguenze drammatiche, fino al rischio di stagflazione. Questo effetto spill over può avere ricadute imprevedibili su economia e geopolitica, come una palla di neve inarrestabile lungo una discesa ripida». 

Ultimo aggiornamento: 6 Febbraio, 13:20 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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