TRIESTE-VENEZIA - Neanche durante il primo lockdown, quello totale della primavera 2020, il golfo di Trieste era rimasto così vuoto.
COSA SUCCEDE
«Il porto di Trieste dipende dal canale di Suez». Sono parole di Zeno D’Agostino, presidente dell’autorità portuale del Friuli Venezia Giulia. Ma nell’ultima settimana lo stretto canale che collega il Mar Rosso al Mediterraneo ha vissuto un crollo dei passaggi del 35% a causa dei continui attacchi terroristici ai convogli. E se il porto di Trieste dipende da Suez, da dove arrivano i container che partono dalla Cina, dall’India e da tutto l’Estremo Oriente, le cose si mettono male. «È proprio grazie alla nostra posizione rispetto a Suez - prosegue D’Agostino - che abbiamo conquistato fette di mercato importanti in Europa settentrionale e centrale. Se la crisi dovesse durare uno o due mesi sarebbe risolvibile. Altrimenti molto meno. Se le navi, come accade ora, scelgono la rotta che prevede di doppiare il Capo di Buona speranza in Sudafrica, è ovvio che una volta dirette in Europa finiscano per scegliere il porto di Amburgo e non Trieste». In poche parole, la stessa posizione diventata privilegiata per le navi salpate in Oriente e dirette nel Mediterraneo, ora finisce per penalizzare lo scalo del Friuli Venezia Giulia, troppo lontano se una nave arriva dallo stretto di Gibilterra.
LE CONTROMISURE
Il porto di Trieste, va detto, non è fermo. Il traffico basato sul sistema “Ro-Ro”, consistente nella movimentazione dei traghetti sui quali vengono caricati i tir provenienti da tutta Europa, continua a funzionare. La destinazione principale è la Turchia, con cui il Friuli Venezia Giulia ha un rapporto commerciale giornaliero e privilegiato. Ma è ovvio che la crisi del canale di Suez non faccia dormire sonni tranquilli a una regione che sulla crescita esponenziale del suo porto principale conta parecchio, anche in termini di Pil. Le contromisure però sono già in cantiere. L’Autorità portuale sta lavorando all’apertura di un canale preferenziale con i porti della costa marocchina, per garantirsi una prima via d’uscita alternativa in caso di crisi prolungata nel canale di Suez. In primavera, invece, partirà il primo collegamento diretto con l’Egitto. Non comprenderà il passaggio a Suez, ovviamente.
LO SCENARIO VENEZIANO
Anche dal porto di Venezia si guarda con preoccupazione agli sviluppi della crisi in Medio Oriente. Il presidente di Federagenti, Alessandro Santi, lo dice chiaramente: «Se i mercantili si abituano a cambiare rotta, circumnavigando l’Africa per capo Buona Speranza, sarà molto probabile che non rientreranno più per lo stretto di Gibilterra e che i porti del Mediterraneo, a maggior ragione quelli dell’Adriatico come Venezia, saranno tagliati fuori». Tanto più se le rotte vengono spostate sulle capitali del Nord Europa. Per ora, viene spiegato dall’Autorità portuale presieduta da Fulvio Lino Di Blasio, ancora non si vede una contrazione numerica tangibile sui trasporti, che si potrà evidenziare, semmai, ad aprile nel bilancio del primo trimestre dell’anno. Ma gli scenari che via via si profilano non lasciano tranquilli gli addetti ai lavori. «I rischi nel breve periodo – sottolineano dall’Autorità portuale – sono legati soprattutto all’aumento dei prezzi: Cma-Cgm, una delle maggiori compagnie di trasporto e spedizione container, ha raddoppiato il costo di trasporto di un contenitore da 40 piedi da 3 mila a 6 mila euro». Va ricordato, peraltro, che a Venezia i container non arrivano direttamente per il problema dei pescaggi sui canali, ma solo tramite linee secondarie.
(ha collaborato Alvise Sperandio)