Mar Rosso, aumenti fino al 10% per la crisi. I primi beni colpiti: frutta e verdura, olio di palma, chip, meccanica e tessuti

Tensioni sul petrolio. L’impatto dei noli e dei tempi di consegna più lunghi con l’Asia

Mercoledì 24 Gennaio 2024 di Roberta Amoruso e Giacomo Andreoli
Mar Rosso, aumenti fino al 10% per la crisi. I primi beni colpiti: frutta e verdura, olio di palma, chip, meccanica e tessuti

Ormai la chiamano “tassa Mar Rosso”. Dall’elettronica, all’alimentare, dalla moda, all’arredo, fino alla componentistica auto, i prodotti che arrivano in Europa dall’Asia con navi portacontainer trasmetteranno aumenti che potrebbero arrivare al 10% sui prezzi a portata di imprese e famiglie.

Almeno secondo alcuni produttori. E non può essere diversamente per una crisi che rischia di durare quanto basta per fare molti danni, visto che il costo per trasportare un container “tipico” da Shanghai a Genova è ormai quasi quadruplicato (+360%). Tra la fine di novembre e oggi il costo è infatti passato da 1.400 a 6.300 dollari. 

Sotto pressione è anche il petrolio. Mentre il calo della domanda e gli stoccaggi pieni tengono a bada i prezzi del gas, ieri a 27 euro al megawattora. Almeno per ora l’emergenza energia non c’è, ma resta una grande preoccupazione se la crisi permane. Del resto, anche il passaggio di gas naturale liquefatto dal Qatar attraverso Suez è crollato. A gennaio Ispi stima che l’Italia possa vedere una riduzione delle consegne di gas qatarino (il 10% del gas consumato nel Paese) del 70% rispetto alla media del 2023. E qualche segnale c’è già, visto che un carico di Gnl del Qatar atteso da Edison al terminal offshore di Porto Viro (vicino Rovigo) non verrà consegnato. Per il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, «la crisi del Mar Rosso è tra le sfide dello scenario mondiale che «mette a rischio la crescita». Un fronte che preoccupa anche l’Europa. Per ora si vedono gli effetti sui trasporti, ha detto il commissario al Commercio Valdis Dombrovskis. «Il calo dei passaggi di navi container nel Mar Rosso», ha aggiunto, «a gennaio è stato del 22%».

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GLI AUMENTI

Dunque si tratta soltanto di capire fino a che punto arriverà la “tassa Mar Rosso” a carico delle famiglie (i prezzi generali in Europa possono crescere fino all’1,8% entro 12 mesi in Europa, stima per ora l’Ispi). Rivenditori britannici come Tesco, Marks & Spencer e Saisbury’s hanno già lanciato l’allarme: l’aumento dei prezzi sarebbe inevitabile. E si moltiplicano gli allarmi sui ritardi nelle consegne, da Crocs a Text, fino a Ikea. Ma a confermare l’impasse è anche l’Associazione europea di produttori di auto, dopo gli stop annunciati negli stabilimenti di Tesla in Germania e Volvocar in Belgio. In generale potrebbero crescere i prezzi dei prodotti con i margini minori. «Tra i beni più a rischio», spiega Giacomo Calef, country manager Italia di Ns Partners, «ci sono quelli alimentari». Come conferma Coldiretti si tratti di: frutta fresca, pomodori, vino, pasta, formaggi, grano, frumento, caffé, olio di palma, carne di maiale e spezie. C’è poi l’elettronica, tra tv, smartphone, calcolatrici e schede elettroniche. Pagherebbero caro anche abbigliamento e meccanica e i margini potrebbero diventare troppo esigui persino per attori della fast-fashion (H&M, Shein, Inditex). E ancora: secondo l’ad di Filiere Italia, Luigi Scordamaglia, ci potrebbe essere pure una “speculazione” di produttori e commercianti. 

LA MISSIONE DI DIFESA

L’Italia sta pagando il prezzo dei singhiozzi. I traffici dei primi sei porti del Paese (Genova, Venezia, Trieste, Gioia Tauro, Augusta e Livorno) si sono ridotti del 20%. «Se la missione europea di difesa delle navi promossa dall’Italia funzionerà», spiega Guido Ottolenghi, presidente del Gruppo tecnico Logistica e Trasporti di Confindustria, che ieri ha presentato a un evento a Roma un apposito documento sulle prospettive di competitività, industria e logistica, «l’impatto sui prezzi sarà riassorbito senza traumi, ma, se avremo di fronte mesi di ostacoli, ci saranno difficoltà sulla logistica». Molte merci, aggiunge, «invece di fare la rotta di Capo di Buona Speranza, andrebbero infatti dagli Usa in Nord Europa e poi da noi in Italia, con prezzi più alti. Iniziative di diversificazione, come la nuova rotta cosiddetta “Ro-Ro” tra Trieste ed Egitto sono positive, ma ci sono beni come i chip che dobbiamo prendere per forza dall’Asia».

Per quanto riguarda la filiera alimentare a rischio c’è in primis l’export, con l’aumento dei costi di viaggio e delle materie prime che si può riflettere in maniera indiretta sul prezzo di listino dei beni al supermercato. Soltanto per l’agroalimentare il transito verso i mercati asiatici vale 4 miliardi. E circumnavigare l’Africa per evitare il canale di Suez comporta problemi di conservazione dei prodotti freschi, ma anche di tipo economico, con costi raddoppiati delle merci, tensioni sui consumi e un rallentamento degli scambi.

«Stiamo avendo gravi problemi», spiega Alessandro Squeri, dg di Steriltom, società leader al mondo nella produzione di polpa di pomodoro, «se la situazione non si risolve rischiamo aumenti di prezzo importanti per le eccellenze del made in Italy nei prossimi mesi, fino al 10% sul prodotto finito». È il caso, ad esempio, proprio della polpa di pomodoro. «Per la frutta fresca», aggiunge Michele Ponso, presidente della federazione frutticoltura di Confagricoltura, «il pericolo è un aumento del 6-7% tra primavera ed estate: per la campagna in corso lavoriamo sulle vecchie scorte, abbiamo i frigoriferi che possono far mantenere i prodotti per altri 15-20 giorni e ci possiamo spostare sul mercato Ue, ma se ci vorranno ancora 50 giorni di viaggio per le spedizioni, prodotti come le susine in India non li potremo più inviare».

Ultimo aggiornamento: 15:46 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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