Mourinho: «Non sono io il problema della Roma. Resto fino al 30 giugno, in estate ho rifiutato un'offerta pazza»

La conferenza stampa del tecnico portoghese prima del match dei giallorossi con il Frosinone

Sabato 30 Settembre 2023 di Gianluca Lengua
Mourinho: «Non sono io il problema della Roma. Resto fino al 30 giugno, in estate ho rifiutato un'offerta pazza»

José Mourinho reagisce alla vigilia della partita contro il Frosinone.

Il 4-1 incassato con il Genoa ha segnato squadra e tecnico, il portoghese però rilancia: «Non accetto di essere io il problema. Non lo accetto perché non è vero. Nel calcio, come nella vita, le cose sono multifattoriali. Anche nel momento della vittoria non si può dire chi è il responsabile. Sono tutte piccole cose che succedono all’interno di un club, azienda, struttura politica o educativa. È tutto multifattoriale. Fino al 30 giugno 2024 io resterò qua a lavorare ogni giorno per la società e per i tifosi. C’è solo una persona che può dirmi che è finita prima, ed è mister Friedkin». Ecco la conferenza stampa integrale.  

Come deve ripartire la squadra per uscire dal momento delicato?

«Dobbiamo vincere. Non dobbiamo cercare nessun tipo di alibi. Abbiamo avuto tre partite prima di finire il mercato, in cui quell’unico punto ci ha lasciato in una situazione che a tanti giocatori ha lasciato un peso. Dopo l’incredibile risultato dopo l’Empoli e anche se in Europa League è arrivata un’altra vittoria, ho pensato che quel peso fosse uscito dalle spalle della gente in campo e fuori il campo. Non è andata così, con quel pareggio contro il Torino dopo una buona partita è diventato un punto negativo. Quando in situazioni normali, se arrivi con 6/7 punti sarebbe stato positivo. A Genova mi aspettavo continuità e un miglioramento, ma non è successo. Nella partita sono successe tante cose, dall’entrare male a prendere gol al cercare di pareggiare e migliorare e invece abbiamo peggiorato. Quando il nostro miglior giocatore ha giocato centrale ha fatto male, poi quando ci siamo messi a quattro la squadra ha perso stabilità. Bisogna avere il coraggio di accettare una reazione di grande romanismo, che può essere un supporto fantastico o una manifestazione negativa. Dobbiamo avere rispetto in entrambi i casi e avere il coraggio di giocare e sapere che sarà un impegno difficile. Dobbiamo avere coraggio. Peccato che la partita non sia oggi, perché mi piacerebbe giocarla ora». 

Se oggi le offrissero il rinnovo, lei accetterebbe?

«È una situazione ipotetica, non mi piace di parlare di cose ipotetiche. Non è successo. Tre mesi fa, intorno alla finale di Budapest, c’era quasi un dramma a pensare che io potessi andare via. A Budapest in campo ho detto ai giocatori e allo staff che sarei rimasto. Tre giorni dopo abbiamo giocato contro lo Spezia, torno in campo dopo la partita e dico ai tifosi che sarei rimasto. Due o tre giorni dopo ho trovato mister Dan Friedkin e gli ho dato la mia parola che sarei rimasto. Durante il periodo di vacanze ho avuto la più grande, importante, pazza offerta di lavoro che un allenatore ha avuto nella storia del calcio. E l’ho rifiutata per mantenere la parola ai miei giocatori, tifosi e proprietario. Tre mesi dopo sembra che sia un problema. Io non lo accetto. Non leggo, non sento, non guardo la tv, ma ho amici, collaboratori e gente che mi fa arrivare le cose. Non lo accetto perché non è vero. Nel calcio, come nella vita, le cose sono multifattoriali. Anche nel momento della vittoria non si può dire chi è il responsabile. Sono tutte piccole cose che succedono all’interno di un club, azienda, struttura politica o educativa. È tutto multifattoriale. Fino al 30 giugno 2024 io resterò qua a lavorare ogni giorno per la società e per i tifosi. C’è solo una persona che può dirmi che è finita prima, ed è mister Friedkin. Se lui non me lo dice io resterò qua fino al 30 giugno. Io sono la stessa persona che ha dato la parola ai giocatori, a tutta Trigoria e al mondo. Perché quando io parlo, parlo al mondo non solo per voi. Sono la stessa persona e fino al 30 giugno sono qua, con i miei giocatori a lavorare per la mia proprietà e per i tifosi. C’è solo la proprietà che può dirmi di fermarmi. Non ho paura della pressione esterna, domani in campo possono anche fischiarmi. Se mi vogliono trovare sono a Trigoria. Ogni tanto vado fuori in un albergo per uno o due giorni. Per me non c’è né paura, né mancanza di fiducia. Sono qui. Domani sono lì io con i miei giocatori, come sempre dal primo giorno a prendere la responsabilità di quello che può succedere prima, durante e dopo la partita. L’unica cosa che pensiamo tutti insieme è vincere la partita». 

Dove schiererà Cristante da domani fino alla sosta di ottobre?

«Il direttore Pinto è stato qui i primi giorni di settembre e ha fatto una buona spiegazione del modo in cui la Roma è obbligata a rispettare il Financial fair play. Se vuoi questo non puoi avere quello. Prendi decisioni e sai che puoi rischiare. Non c’è più Ibañez e Kumbulla ci dava una mano a sopperire a questa problematica. Siamo rimasti in tre in cui ci sono tre settimane in cui giochiamo tre partite a settimana. L’infortunio di Diego fa parte della sua storia e ci ha messo in difficoltà. Non è il momento di trovare alibi o di incolpare qualcuno. Questa è una conseguenza del Ffp e io sapevo perfettamente che poteva succedere. Cristante è. il giocatore che ci dà di più, ha avuto un’evoluzione a livello tattico e tecnico. Uno che non era un genio con la palla è diventato più sveglio e veloce, importante offensivamente e difensivamente. Io per giocare a quattro devo mettere titolare El Shaarawy a sinistra e Joao Costa a destra. Se io dico che Dybala può giocare esterno destro e voi dite che è stanco, immaginate se gioca esterno. Domani c’è una partita difficile, importante con una pressione extra e dobbiamo giocarla al massimo della nostra potenzialità. Se mi aspetto di più dai giocatori? Sì, mi aspetto di più, mi aspetto di più anche da me stesso. Io alleno palla inattiva difensiva, non ho mai detto ai giocatori offensivi di abbassarsi 30 metri e lasciare Lukaku da solo. Se avuto una buona risposta? Questi ragazzi sono miei amici. Io sono amico loro. Noi siamo un bel gruppo, c’è empatia. E questa è una base che non ha prezzo. Io con loro non sono mai solo. Sono un po’ più solo perché a me piace stare solo, nascondermi con i miei pensieri e la mia analisi. Ma io qua con i miei giocatori non mi sono mai sentito solo. Però mi aspetto di più, di vedere di più in campo, una mentalità, fame, responsabilità diversa. E anche la gente nuova che è arrivata crescerà per fargli vedere chi siamo. Per dare un esempio: Ndicka difensivamente non è all'altezza di Ibanez, non è un guerriero o un gladiatore ma è molto più bravo con la palla. Ci arriverà se gli facciamo vedere come si fa. Abbiamo avuto 7 calci d'angolo a favore nostro a Genova ma non abbiamo mai attaccato la palla. Dobbiamo migliorare per forza. Mi aspetto di più dai giocatori ed è più facile dire questo quando c'è amicizia». 

È vero che il terzo anno è più difficile incidere?

«Non la penso così. Quando una persona sta bene non cambia. Anche nel primo anno ci sono problemi. Non esiste il terzo, quarto o quinto. È una maratona, quando non senti questo amore senti che di dire basta. Se sei stanco di un rapporto che arriva al limite dici basta. Ci sono allenatori che hanno tanti soldi da spendere e cambiano giocatori con facilità, noi non possiamo farlo. Altre società decidono di cambiare allenatore perché è molto più facile. Il punto di partenza non sono gli anni, ma il rapporto che esiste o non esiste. In questo caso. il rapporto esiste. Qui dentro, nel lavoro quotidiano, mi piace tantissimo. Ho avuto dei club in cui mi è piaciuto lo stesso, ma non di più in nessun altro posto». 

C’è una mossa alla Mourinho per risolvere la situazione?

«La risposta che ti dico è quella che ti volevo dare quando ho fatto le scemo e poi mi sono scusato con te. È in questo tipo di momento in cui uno si deve isolare. Una cosa è isolare perché gli altri ti vogliono isolato, non ti vogliono bene, non sentono empatia e ti lasciano da solo. Questa è la cosa più comune nel mondo del calcio e per questo si dice che un allenatore quando perde è un uomo solo. Un’altra cosa è quando vuoi essere solo per tua decisione. Andare a letto alle 6 del mattino dopo la partita, uscire dal letto alle 12.15 quando eri sveglio dalle 7.30. In questo momento c’è tanta gente che parla, tanti che danno opinioni. Fuori, ma anche dentro. I preparatori, gli analisti, Rapetti. Se vado da loro sentirò tante cose. Nella riunione che ho fatto ho iniziato dicendo: io faccio domande e io rispondo alle domande, se io sbaglio nelle vostre risposte alzate la mano e me lo dite. Io ho fatto dieci domande, ho risposto al loro posto e nessuno mi ha detto che ho sbagliato. Perché l’ho fatto? Perché li conosco bene, secondo perché non volevo sentire opinioni. Era questo quello che volevo dire l’altra volta». 

Ultimo aggiornamento: 15:55 © RIPRODUZIONE RISERVATA