Albertazzi, Fo: io e lui anarchici. Proietti: il più grande attore italiano. Lavia: un campione

Sabato 28 Maggio 2016
Albertazzi, Fo: io e lui anarchici. Proietti: il più grande attore italiano. Lavia: un campione
«Era un grandissimo attore, veramente enorme. Aveva la sapienza del prendere scena che è una cosa magica». Dario Fo ricorda così Giorgio Albertazzi, morto oggi a 92 anni, con cui ha lavorato in tv e collaborato a una serie di spettacoli-lezioni sulla storia del teatro in Italia. «Con Albertazzi ci siamo conosciuti in tv e ci siamo presentati così: "Fondamentalmente anarchico" ha detto Giorgio e io "a tutto punto anarchico". È stato questo il nostro primo dialogo. Era il momento in cui la televisione per la prima volta decideva di mettere in onda un programma scegliendo un pezzo di teatro. Lui faceva un monologo, io uno dei miei assoli. Poi ci siamo sempre incontrati facendoci grandi feste con la nostalgia di tornare a lavorare insieme», racconta all'agenzia Ansa il premio Nobel.

«Aveva nella recitazione una sapienza, un fiuto, un'energia incredibile. Io facevo il comico, il satirico, il grottesco. È un caso quasi unico come lavoravamo bene insieme però la tv non ci ha trattati bene. Ci ha messo nell'ora tarda con un programma che parlava di tutto il teatro in Italia. E non credo che la Rai oggi abbia la forza di rimettere tutto da capo», dice Fo parlando delle lezioni in cui con Albertazzi ha ripercorso il meglio della nostra produzione teatrale. Il Nobel sottolinea anche come «molti giovani abbiamo seguito e guardato Albertazzi con golosità. Giorgio sentiva il pubblico e si adattava senza prevaricarlo mai. Sapeva parlare alla gente e questa è una grande lezione».

«Era il più grande attore italiano. Il pubblico lo sapeva benissimo e forse anche lui era cosciente del compito di essere l'ultimo dei grandi. Ma sempre con la voglia di sperimentare, di non essere mai ovvio». Così Gigi
Proietti. Pur diversissimi, i due hanno incrociato le proprie strade più volte, sempre nel segno di Shakespeare. La prima, nel 2001, per un «Falstaff» di cui Proietti firmò la regia. «Dirigere Albertazzi? Era come suonare uno Stradivari - dice - Non bisognava certo dirgli come affrontare le battute. Anche se in realtà era talmente grande che un consiglio lo poteva anche seguire». Poi negli anni Albertazzi è stato anche in cartellone nella stagione estiva del Globe Theatre di Villa Borghese, di cui Proietti è direttore. «Un teatro popolare, senza palchetti, di cui però Albertazzi, nella sua voglia di sperimentare, era molto affascinato - racconta ancora il regista -. Portò uno straordinario Prospero ne La Tempesta e Giulio Cesare. Il fatto che fosse disponibile anche per un'operazione più caratteristica, in cartelloni dove solitamente non compaiono grandi nomi, era un segno della sua curiosità nobile. In questa stagione troveremo il modo per ricordarlo».

«In qualche modo Albertazzi è stato un campione del teatro, di quella forma d'arte eterna: era una persona molto particolare, era quello che si potrebbe dire un vero artista, con tutti i pregi e scontrosità del suo modo d'essere attore». Così l'attore e regista Gabriele Lavia ricorda Albertazzi. «Lo conoscevo abbastanza - ha detto Lavia - nel corso della mia vita l'ho frequentato e ho lavorato con lui solo una volta. Fino all'ultimo ha sempre cercato dentro di sè un mistero, quello che lui chiamava - e quante volte ci aveva anche 'annoiatò - il suo 'Duendè, ossia quel mistero, quel punto in sè, nel proprio essere, per cui ad un certo momento l'attore non recita più ma diventa quel personaggio che rappresenta sul palcoscenico». «Giorgio ? ha ricordato Lavia - era una persona molto sensibile, mi dispiace veramente. Albertazzi si sentiva veramente fiorentino».

 
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