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Bluff assistenza a domicilio: gli infermieri sono pochi e li usano come telefonisti

Salute > Focus
Mercoledì 18 Novembre 2020 di Francesco Malfetano
Bluff assistenza a domicilio: gli infermieri sono pochi e li usano come telefonisti
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ROMA Non solo il tracciamento e i pronto soccorso degli ospedali, oggi in Italia a non funzionare (ancora) è anche l’assistenza domiciliare dei pazienti Covid. «Delle 1200 USCA (Unità Speciali di Continuità Assistenziale) istituite per decreto ormai a marzo scorso stanziando 721 milioni di euro in modo da averne almeno una ogni 50 mila abitanti - spiega Antonio Magi, presidente dell’Ordine dei medici di Roma - al momento solo 611 risultano essere state attivate dalle Regioni».

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Ovvero ci sono poco più della metà delle unità speciali - si tratta di squadre che lavorano su turni composte da un medico di continuità assistenziale affiancato da uno o due operatori sanitari e indirizzate dai medici di base - ritenute necessarie per affrontare il virus. Peraltro la metà di una cifra che con grande probabilità è sottostimata perché elaborata nei mesi in cui i numeri erano più clementi o comunque sommersi a causa dei pochi tamponi.


Vale a dire che i circa 680mila cittadini che al momento si trovano in isolamento domiciliare se avvertono sintomi o necessitano di cure, con i medici di base ormai sovraccarichi, sono formalmente abbandonati a se stessi e quindi finiscono con il correre in pronto soccorso. E questo succede sia perché non ci sono abbastanza USCA (nella sola città di Milano ad esempio, sarebbero dovute essere 65, ma ad oggi sono 16) sia perché non hanno strumenti adeguati a disposizione. A Roma ad esempio, «A volte le squadre non hanno macchine per spostarsi - continua Magi - e altre non hanno dispositivi di protezione adeguate». 


Non solo, c’è anche chi fa peggio e impiega le unità nate con un compito specifico in altri servizi. È il caso ad esempio della Campania, dove l’associazione Medici senza carriere denuncia che «è stato fatto un pastrocchio» e «le USCA sono impiegate dalle Aassll per dare informazioni a telefono, per fare i tamponi ai drive-in e per misurare la temperatura alla stazione e all’aeroporto con il termoscanner». Niente visite domiciliari quindi. Con la beffa che se nelle case non ci vanno gli operatori dell’USCA non può andarci nessun altro. Il Tar del Lazio infatti lunedì ha stabilito che i medici di base non possono effettuare visite a domicilio per i malati Covid sottolineando che quel compito spetta agli operatori delle Usca che, giustamente, da quando istituite vengono pagati ben 40 euro l’ora. 


ARRUOLAMENTO
«È semplicemente un caos in tutto il Paese - spiega Domenico Crisarà, vicesegretario nazionale della Fimmg - ci sono state modalità di arruolamento e numeri fantasiose. Il risultato è che ora non si sa queste persone sono a disposizione e a quale contratto rispondano, quali servizi possono erogare, le modalità con cui devono affiancare noi medici nell’assistenza e quali sono gli strumenti a loro disposizione». Nel complesso in pratica, tutte le Regioni si sono mosse male. «Ci sono aziende sanitarie che funzionano bene come a Reggio Emilia e Modena, ma non è la totalità dell’Emilia Romagna - continua Crisarà - E poi anche quando i numeri delle USCA sono adeguate, come ad esempio in Liguria, se non si sa come usarle non servono a molto. Tant’è che lì a fronte di un 97% di copertura delle unità, il tasso di ospedalizzazione non è sceso affatto». 


Inoltre non tutte le regioni le hanno istituite. Il Lazio ad esempio, si è inventato le USCAR che nella prima ondata, in camper, in pratica inseguivano le zone rosse per fare tamponi e circoscriverle. «Una funzione giusta per la situazione dell’epoca - afferma Magi - che però è rimasta anche dopo, usando quei medici per fare qualcosa di diverso da ciò che serve oggi. Solo 10 giorni fa è stato deliberato che una parte delle USCAR debbano fare il lavoro delle USCA e andare a casa o nei covid hotel». Si sta cioè inseguendo il virus, pagando la mancata programmazione estiva. Tant’è che solo ora molte regioni stanno correndo ai ripari. La Puglia ad esempio ha appena arruolato 300 medici, la Sicilia ne ha istituite altre 10 e il Friuli Venezia Giulia altre 5. «Ma vede - conclude Magi - le guerre si preparano durante la pace».

Ultimo aggiornamento: 00:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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