Una vita sui campi da tennis e una grande amicizia mai trasformata in una "storia": Lea Pericoli si racconta con la consueta sincerità per dire che sia lei sia Nicola Pietrangeli («Bello, ma non il più bello», e non si parla di Adriano Panatta) ancora oggi si chiedono come mai non sia arrivato l'amore fra loro.
Un carattere temprato dall'adolescenza in Africa (Etiopia e Kenya) anche negli anni crudi della guerra e l'àncora di salvezza rappresentato dal tennis che lei ha sempre interpretato alla sua esclusiva maniera: dalle tante vittorie (27 titoli italiani tra singolare, doppio e misto) in campo alle ancor di più vittorie nel conquistare l'attenzione del pubblico e della stampa anche se a vincere era un'altra.
Come scrive Gaia Piccardi per Il Corriere della sera, Lea Pericoli è, da sempre, una questione di stile.
Il tennis, in questa storia, come entra?
«Loreto Convent, a Nairobi: la più grande fortuna della mia vita. Dieci cattivissime suore irlandesi che tenevano a bada 300 bambine scatenate. ... Era uno sport molto diverso, non si guadagnava una lira! Anzi: prendere soldi era proprio vietato. Infatti a me il tennis ha dato tutto, tranne il denaro. Però vedo che sono rimasta nel pensiero di molti, e i miei vestitini sono esposti al Victoria & Albert museum».
Con Nicola Pietrangeli vi conoscete da ragazzi: è difficile credere che tra voi non sia mai successo niente.
«Ha ragione, a volte ce lo chiediamo anche noi: non è che non ci abbiamo pensato, eh... Ma io avevo sempre al fianco un’altra persona, lui almeno due! In compenso è nata un’amicizia infinita, lunga un’esistenza intera. Ci siamo pianti sulla spalla tante volte. Nicola si arrovella ancora oggi che va per i novanta: Lea, perché io e te mai?».
Panatta è stato il più bello?
«No. Umberto Bitti Bergamo, prima tennista e poi imprenditore, era il più affascinante in assoluto. Ho avuto una storia importante con Bitti. Purtroppo se n’è andato troppo presto».