Strage alla Coimpo, il pm domanda 54 anni

Giovedì 3 Ottobre 2019
Strage alla Coimpo, il pm domanda 54 anni
LA TRAGEDIA
«Cronaca di una morte annunciata», così il sostituto procuratore Sabrina Duò ha definito nella sua requisitoria le vicende che hanno portato alla tragedia del 22 settembre 2014 all'impianto di lavorazione fanghi di Coimpo e Agribiofert, a Ca' Emo, nella quale persero la vita i tre dipendenti Coimpo Nicolò Bellato, 28 anni, di Bellombra, Paolo Valesella, 53, di Adria, e Marco Berti, 47, di Sant'Apollinare oltre all'autotrasportatore Giuseppe Baldan, 48 anni, di Campolongo Maggiore. Ieri, a cinque anni e dieci giorni dal più grave incidente sul lavoro di cui si abbia memoria in Polesine, sono arrivate le richieste di condanna da parte del pm Duò, per un totale di 54 anni e 9 mesi, nei confronti degli otto imputati di omicidio colposo plurimo, i sette responsabili della gestione dell'impianto adriese anche di omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, di violazioni al testo unico dell'ambiente e di getto pericoloso di cose.
Per Gianni Pagnin, 68, di Noventa Padovana, presidente del cda Coimpo e per Mauro Luise, 58, di Adria, direttore tecnico della Coimpo e ritenuto dirigente di fatto della Agribiofert, il pm ha chiesto 10 anni di reclusione a testa.
Tra gli altri imputati sono stati chiesti 18 mesi per Alberto Albertini, 61 anni, di Dolo, legale rappresentante della Psc Prima di Marano di Mira, ditta di cui era dipendente l'autotrasportatore rimasto ucciso, perché «pur avendo formato i propri dipendenti e avendoli dotati degli opportuni presidi, essendo il trasportatore entrato nel ciclo produttivo dell'azienda sversando il carico di acido solforico direttamente nella vasca di Agribiofert, vi è un concorso di colpa con i destinatari».
«Non è stata una fatalità», ha rimarcato il pm Duò evidenziando i fattori che secondo l'impianto accusatorio avrebbero concorso a produrre le esalazioni letali di acido solfidrico: la miscelazione con la benna della ruspa della vasca D, di fatto contenente solo una miscela di rifiuti; le modalità di scarico dell'autobotte di acido solforico direttamente nella vasca; l'elevata presenza di solfuri, in quantità eccessive anche per l'utilizzo del gesso di desulfurazione di A2a, le ceneri del termovalorizzatore di Brescia; il mancato rispetto delle procedure autorizzate. Ma anche contro di queste ha puntato il dito il pm, rilevando che «la Provincia avrebbe dovuto imporre che le lavorazioni avvenissero al chiuso o comunque l'installazione di rilevatori per sostanze pericolose e protezioni come le maschere».
Il processo di primo grado, con la parola alle parti civili e alle difese, proseguirà lunedì 7 e mercoledì 9, prima della sentenza del giudice Nicoletta Stefanutti.
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