LA STORIA
L'oggetto del desiderio mai agguantato, la città che Venezia

Martedì 14 Luglio 2020
LA STORIA
L'oggetto del desiderio mai agguantato, la città che Venezia avrebbe sempre voluto avere, ma che non è mai riuscita a conquistare (eppure avrebbe potuto) era Milano. I veneziani ci sono andati vicini due volte nel XV secolo con una battaglia vinta (Maclodio, 1427) e prima di perderne un'altra (Caravaggio, 1448). Di questo, e di molto altro, si parla nel libro di Federico Moro, Venezia offensiva in Italia, 1381-1499. Il secolo lungo di San Marco (Leg). A queste due occasioni perdute si aggiunge una terza possibilità, annullata da quella che diventa la sconfitta definitiva (Agnadello, 1509).
I LIBRI DEI SE
Ci hanno tante volte insegnato che la storia non si fa con i se, ma esiste anche una declinazione storica che si chiama ucronia, ed è proprio la storia fatta con i se. Ogni tanto, per divertimento, ci si cimentano anche scrittori di spessore, e sono pure stati pubblicati romanzi ucronici interessanti e di successo. Tanto per citarne un paio: Contro-passato prossimo, nel quale Guido Morselli (Adelphi) spiega come gli austroungarici riescano a penetrare in Italia dalla Valtellina e a circondare e chiudere il Regio esercito in una morsa, impegnato com'era sull'Altopiano di Asiago a respingere da Strafexpedition nel 1916. Oppure Fatherland (Mondadori) in cui Robert Harris tratteggia un'Europa in cui i tedeschi di Adolf Hitler hanno vinto la Seconda guerra mondiale.
COSA SAREBBE SUCCESSO
Quindi: cosa sarebbe successo se Venezia avesse conquistato Milano? Certamente sarebbero rimaste veneziane Rovereto e Cortina, nonché Cremona e la Ghiaradadda, con ogni probabilità Trieste e Fiume (conquistate nel 1508 e perse nel 1509) e di sicuro le varie città romagnole cedute al papa dopo la guerra di Cambrai, prime fra tutte Ravenna che era stata veneziana per alcuni decenni. Difficilmente i veneziani avrebbero annesso il Piemonte, al tempo considerato Francia, ma avrebbero depotenziato Genova e con ogni probabilità si sarebbero allargati in Emilia e, forse, in parte della Toscana. Di sicuro Milano non sarebbe stata occupata dai francesi prima e dagli spagnoli poi e quindi Alessandro Manzoni non avrebbe potuto scrivere I promessi sposi.
AI GIORNI NOSTRI
Ora però abbandoniamo la fantastoria e torniamo alla storia. Andiamo ai giorni di Maclodio, a quando i veneziani infliggono una sconfitta pesantissima ai milanesi. Le truppe col leone di San Marco, guidate da Francesco Bussone, detto il Carmagnola, attirano quelle con il biscione, sotto il comando di Filippo Maria Visconti, in una trappola: si ritirano in zona paludosa dove aspettano i lombardi. «All'improvviso il primo verrettone, subito seguito da una vera e propria pioggia, scagliata da pesanti balestre d'assedio, mescolata alle palle tirate da schioppetti invisibili. Perché nascosta lungo i lati della strada, Carmagnola ha disposto l'intera armata veneta. Sua è pure l'idea di utilizzare le balestre d'assedio montate a gruppi di tre su delle strutture mobili: l'effetto è spaventoso. In mano a Carmagnola restano qualcosa come 8 mila uomini d'arme e 2 mila fanti oltre all'intero campo visconteo con il treno d'artiglieria, le salmerie e un valore incalcolabile di oggetti e beni personali. Per il capitano generale di Venezia la giornata dell'11 ottobre 1427 segna l'apice della carriera militare», scrive Federico Moro.
La strada per Milano è aperta, ma i veneziani non la percorrono. Carmagnola poi, sospettato di tradimento (ma forse il sospetto non era fondato), viene decapitato tra le colonne di Marco e Todaro il 5 maggio 1432. Occasioni però ce ne sarebbero state altre.
LO SCRITTORE
Ecco come Federico Moro spiega il comportamento veneziano. «Alla morte di Filippo Maria Visconti, Venezia ha la possibilità di sfruttare il collasso dello stato visconteo e la debolezza dell'Aura repubblica ambrosiana per conquistare finalmente Milano: chiave di volta dell'intera Italia settentrionale e premessa per ogni possibile egemonia peninsulare. Invece di ordinare al capitano generale, Michele Attendolo Sforza, di marciare direttamente su piazza Duomo, il senato perde tempo nel cercare di occupare le piazze lombarde ed emiliane ritenute strategiche: da Lodi a Piacenza. Errore fatale, perché la repubblica Ambrosiana arruolerà il miglior condottiero italiano di sempre, Francesco Sforza, il quale la porterà quasi suo malgrado al trio di Caravaggio, dove l'esercito veneziano, agli ordini di Michele Attendolo, viene distrutto. E con essa ogni speranza di conquistare Milano. La quale, poi, si sceglierà come duca proprio quel Francesco Sforza, mettendo fine alle aspirazioni veneziane.
LA LEGA DI CAMBRAI
Analogo errore farà il senato veneziano poco più di mezzo secolo dopo, nella primavera del 1509, quando dopo aver deciso di affrontare sul campo di battaglia la sfida lanciata dai collegati della lega di Cambrai non ascolta il suo governatore generale da Tera, Bartolomeo d'Alviano, e non segue il suo geniale piano di guerra che prevede di lanciare un'offensiva preventiva oltre il fiume Adda al fine di distruggere l'armata del re di Francia, Luigi XII, e conquistare Milano. Una guerra lampo che metta fuori gioco Francia e la sua fresca acquisizione lombarda, in fatti, sarebbe l'unica speranza possibile per una repubblica destinata a essere attaccata presto sia in Romagna che dalle Alpi. Bisogna eliminare il nemico principale, la Francia, meglio se occupando Milano e garantendosi le sue formidabili risorse finanziarie e industriali, e liberare l'armata di terra dal fronte lombardo per trasferirla altrove. Il senato non ha l'audacia necessaria e così avremo Agnadello in maggio e Polesella in dicembre. Non sempre l'esperienza insegna».
CAMBIA LA POLITICA
Da quel 1509 la politica veneziana cambia: sopravvissuto alla coalizione di tutte le potenze europee unite contro di lei, la Serenissima non pensa più a espandersi in terraferma. Piazza Duomo esce dalla visuale di piazza San Marco.
La storia, però, spesso gioca strani scherzi. E viene il tempo in cui è Venezia a doversi sottomettere a Milano. Accade prima con il napoleonico regno d'Italia e poi con l'austriaco Lombardo-Veneto. «Capitale per mille e cento anni, viene posposta a Milano, che per quasi tre secoli era stata soltanto un capoluogo di provincia, spagnola prima, austriaca poi» afferma Alvise Zorzi nel in Napoleone a Venezia. Una nobildonna vicentina, Ottavia Negri Velo, madre di un amico di Ugo Foscolo, il 6 febbraio 1806 annota nel suo diario: «La gara fra Milano e Venezia sembra dichiarata. Milano è una provinciaccia che ha sempre ubbidito, Venezia è una capitale il cui dominio è originale».
Alessandro Marzo Magno
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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