IL RITRATTO
Se ne è andato nel sonno, a 73 anni, nel suo letto da singolo

Mercoledì 19 Febbraio 2020
IL RITRATTO
Se ne è andato nel sonno, a 73 anni, nel suo letto da singolo in una casa che non era la sua. Da quattro anni Flavio Bucci viveva in una casa-famiglia, a Passoscuro, vicino a Roma, un luogo dignitoso ma senza ricordi, in cui dormivano Bucci e un altro uomo della stessa età. Con le loro pensioni, non potevano permettersi molto di più. «In fondo un letto è un letto», ci aveva detto esattamente un anno fa, quando al Teatro Belli di Roma recitava, con un vigore ritrovato, la storia della sua vita, E pensare che ero partito così bene, scritto e diretto con Marco Mattolini.
IL VINCOLO
L'attore maudit per eccellenza, che aveva legato a doppio vincolo il suo nome al Ligabue televisivo (1977), e a grandi maestri del cinema come Elio Petri, Mario Monicelli e Marco Ferreri, l'uomo che già nei lineamenti portava il segno del suo fascino irregolare (grazie al quale aveva conquistato le sue due mogli: Micaela Pignatelli da cui sono nati Claudio e Lorenzo, e Loes Kamsteeg una produttrice olandese madre del terzo figlio, Ruden), non aveva mai fatto segreto della sua sregolatezza. La droga era scomparsa da un bel pezzo. Beveva molto di meno. Ma al fumo non poteva, né voleva rinunciare. La voce arrocchita dalle 80 sigarette al giorno rappresentava, in fondo, uno dei suoi segni identitari più puri. Da Il Marchese del grillo (indimenticabile il ruolo di Don Bastiano e il suo monologo prima della decapitazione: «Inginocchiatevi e chinate la testa davanti a uno che la testa non l'ha chinata mai....») fino a Il Divo di Sorrentino, ogni volta Bucci si calava nel ruolo in maniera totale, trovando sempre quella nota travolgente che lo rendeva unico. Il personaggio che amava di più era Riccardo III di Shakespeare: «Ci sono i grandi temi del pianeta: il bene e il male, la sessualità, il rapporto uomo-donna, l'ideologia», aveva detto nel corso del nostro incontro. «E poi sono convinto che quando il primo extraterrestre sbarcherà sulla terra, la prima cosa che farà sarà andarsi a leggere un'opera di Shakespeare».
AMICI
Gli amici lo descrivono come un uomo ironico, generoso, un attore geniale. «Un giorno Flavio mi telefonò per dirmi: c'è un regista giovane che non ha una lira, ha talento e dobbiamo assolutamente aiutarlo a produrre il suo film. Anche noi non avevamo una lira ma lui insistette. E così lui, io e Stefano Santospago firmammo una cambiale di 18 milioni per produrre Ecce Bombo di Nanni Moretti». Michele Placido sceglie questa immagine per trattenere l'uomo e l'artista che se ne è appena andato. «Avevo in mente di affidare a lui e ad Haber due ruoli nel mio prossimo film su Caravaggio, il quale notoriamente raffigurava San Pietro e i santi con i visi degli outsider che incontrava. Immaginavo che insieme avrebbero fatto una magnifica coppia».
RECITARE
Per questo, proprio qualche giorno fa, Placido aveva chiamato Alessandro Haber. «Michele mi chiese se Flavio stava bene, se era in grado di recitare, e io gli dissi: assolutamente sì» conferma l'attore e amico, che gli è stato vicino fino alla fine. «L'avevo sentito tre giorni fa. Mi chiese: Sei ancora vivo, Alessandro?. Era il nostro modo di scherzare, di sentirci vivi. Siamo nati nello stesso anno, il 1947. Siamo stati amici fin dai tempi di Ligabue, anzi fu lui che mi portò da Salvatore Nocita, il regista, che poi mi prese per interpretare Cachi, l'unico vero amico del pittore». Su quel set destinato a diventare storico, c'era anche Giuseppe Pambieri: «Avevamo caratteri diversi, io razionale, lui estroverso e ironico. Ma proprio per questo avevamo bisogno l'uno dell'altro. Non era pronto per morire, eppure se avesse potuto scegliere avrebbe scelto proprio questo modo. Non voleva dare fastidio a nessuno».
REPLICHE
Che non fosse pronto per andarsene da questa terra, lo racconta anche il fatto che sabato prossimo avrebbe ripreso le repliche di E pensare che ero partito così bene, prima in Abruzzo e poi in Puglia. «Era felice di riprendere lo spettacolo» racconta Marco Mattolini, che negli Anni 90 l'aveva diretto in alcune opere pirandelliane come Il Fu Mattia Pascal e Uno, nessuno e centomila: «Flavio non era solo, a cominciare dall'amato fratello Riccardo, di undici anni più giovane di lui, che l'ha sostenuto sempre. Della morte non aveva paura. Sapeva che sarebbe arrivata all'improvviso. Aveva più paura della gente invidiosa che della morte. La pensava come Edih Piaf: Je ne regrette rien, Non rimpiango nulla, diceva sempre».
Katia Ippaso
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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