IL LIBRO
«È inaccettabile che la storia debba rimanere fuori dalle

Mercoledì 3 Febbraio 2021
IL LIBRO
«È inaccettabile che la storia debba rimanere fuori dalle celebrazioni del giorno del Ricordo», osserva Eric Gobetti. Di mestiere fa lo storico e ha appena pubblicato con Laterza il volume E allora le foibe, un libro che, diciamolo subito, ha scatenato un mare di polemiche ancor prima che uscisse. Senza nemmeno averlo potuto leggere, perché non era in libreria, c'era già chi aveva provveduto a condannarlo. Così, a priori, sulla base del titolo (per chi non se lo ricordasse era il refrain di un personaggio di Caterina Guzzanti, Vichi di Casa Pound, che quando non sapeva più cosa dire buttava là un «E allora le foibe?») e di una foto che gira in rete dove si vede Gobetti fare il pugno chiuso davanti a un ritratto di Tito (era uno scherzo di una decina d'anni fa, ora è divenuta una gogna). Fa tutto parte di un tema, quello delle foibe, ma in più generale di quel che riguarda le questioni del confine orientale, che è stato sottratto al dibattito storico ed è entrato a far parte di quello politico. Il risultato è che gli storici seri, quelli che si occupano da una vita di questi temi, sono messi da parte per dare spazio ai propagandisti politici. Primo fra tutti Raoul Pupo, professore di Storia contemporanea all'università di Trieste: poco più di un anno fa Pupo si è addirittura preso una censura dal Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia perché non era sufficientemente allineato e coperto.
IL CASO
«Nei primi anni 2000», ricorda Eric Gobetti, «la tematica delle uccisioni avvenute nell'area dell'alto Adriatico, comunemente dette foibe, è divenuta un utile strumento di legittimazione politica per i due estremi post comunisti. L'ex Pci, divenuto Pds, doveva proporsi come partito di governo nazionale di governo, e cosa c'era di meglio che denunciare i crimini comunisti? Soprattutto quando si trattava di crimini comunisti degli altri, ovvero degli jugoslavi. I neofascisti, invece, avevano l'occasione perfetta per trasformare la loro memoria in memoria di stato, per legittimarsi attraverso questo fatto: Visto? Quel che noi dicevamo da cinquant'anni è ora patrimonio collettivo». Non è un caso che il primo firmatario della proposta di legge che avrebbe poi istituito, nel 2004, il giorno del Ricordo, fosse Roberto Menia, già segretario del Fronte della Gioventù, l'organizzazione giovanile del Msi, esponente di punta della destra triestina che gode di vasti consensi nel mondo degli esuli istriano-dalmati. La legge è stata votata da tutte le formazioni politiche, sinistra compresa, a dimostrazione del fatto che al tempo molti pensassero semplicemente a onorare le vittime di una delle tante tragedie occorse nel dopoguerra.
DUE FILM SPARTIACQUE
Per esemplificare come siano cambiate le cose, Gobetti cita due film. Sono entrambi ambientati in Istria e affrontano il tema delle violenze nel dopoguerra. Sono separati da tredici anni: il primo Il cuore nel pozzo è del 2005, il secondo Rosso Istria è del 2018. Nel primo le vittime degli jugoslavi sono istriani di etnia italiana, nel secondo le vittime sono italiani in uniforme fascista. Questo a significare che si è passati dal ricordare gli italiani vittime di violenze al celebrare i fascisti vittime di violenze. Un cambio di prospettiva fondamentale, questo; una sorta di transustanziazione delle foibe da tragedia italiana a tragedia fascista. «Fino all'istituzione del giorno del Ricordo c'era la volontà di celebrare la vicenda con un minimo di attenzione, poi la cosa è sfuggita di mano». Ora le associazioni degli esuli, non tutte, ma molte, cercano di imporre il loro punto di vista, nel gennaio 2020 è stata addirittura presentata una proposta di legge alla Camera, firmata da tutto il gruppo di Fratelli d'Italia, dove si chiedeva che «le associazioni di esuli siano interpellate dagli enti locali prima di autorizzare o concedere spazi per lo svolgimento di eventi sulle foibe, e che siano le sole ad essere coinvolte nell'elaborazione dei piani di formazione ed insegnamento nelle scuole» in una sorta di controllo preventivo di quanto possa essere detto.
LE CENSURE
«Spesso cercano di impedirmi di parlare», sottolinea Gobetti, «quando c'è un mio incontro vengono organizzate proteste. Gli esuli e le loro associazioni pretendono di essere gli unici legittimati a esprimersi e di fatto lo sono. Per esempio i discorsi presidenziali che continuano a parlare di pulizia etnica sono chiaramente ispirati dalle posizioni degli esuli». Qui c'è da fare una precisazione: gli storici sono quasi unanimi nell'affermare che l'esodo da Istria, Fiume e Dalmazia sia stato una conseguenza indiretta delle violenze, ma non c'era in origine il progetto di svuotare quei territori dagli italiani, bensì di eliminare gli oppositori del comunismo, come è stato fatto nel resto della Jugoslavia in dimensioni ben più drammatiche. Se gli jugoslavi avessero voluto cacciare gli italiani avrebbero potuto fare come hanno fatto con i tedeschi che risiedevano nella regione danubiana: decreti di espulsione che hanno ripulito quelle zone dalla presenza germanica. Tutto questo però riguarda gli storici, ma non l'uso politico delle foibe: quello della pulizia etnica è un tema che le associazioni degli esuli non intendono minimamente mettere in discussione.
LE INDAGINI STORICHE
Dice Gobetti: «Non può essere un gruppo di vittime a fare le politiche della memoria di un paese, ci dev'essere un ragionamento storico. Con tutte le differenze del caso, sono gli storici a raccontare cosa sia stata la Shoah, non le associazioni ebraiche». «Il mio libro è un tentativo di narrare quelle vicende in maniera pacata», precisa Gobetti, «e vengo contestato anche da sinistra. Per esempio Claudia Cernigoi e Alessandra Kersevan hanno una posizione fortemente ideologica, per loro l'atteggiamento dei partigiani non può essere criticato. Questo è inaccettabile, bisogna dire cos'è successo e non rimuovere le critiche». In genere essere attaccati sia da destra, sia da sinistra è una garanzia di equidistanza, ma sulle tematiche dei confini orientali la voce delle destra è molto più forte. E la foto con Tito e il pugno chiuso? «Finché si poteva, accompagnavo viaggi della memoria nei Balcani. La foto è stata fatta una decina di anni fa a Jaice, in Bosnia, dove nel 1943 Tito ha fondato la Jugoslavia. C'è un museo che celebra l'evento, naturalmente ci sono le foto di Tito. Qualche compagno di viaggio mi ha chiesto ridendo di mettermi in posa per una foto». La foto è finita in rete ed è diventata la foto di Gobetti che inneggia agli infoibatori. Tutto ciò, naturalmente, senza aver mai letto una sola riga scritta da Eric Gobetti.
Alessandro Marzo Magno
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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