IL DIBATTITO
Qual è al di là del nutrimento puro, semplice e ovviamente

Domenica 29 Novembre 2020
IL DIBATTITO
Qual è al di là del nutrimento puro, semplice e ovviamente fondamentale, del dare forza e sostanza al nostro corpo, e quindi energia e vita lo scopo del cibo, oggi, nella società contemporanea e in particolare nei paesi economicamente più evoluti, dove spesso, di tutto quello che consumiamo solo una parte è necessità, il resto è gioco, sfizio, moda, addirittura emozione, esperienza - come usa dire -, o peggio, apparenza? Chi vince fra la convivialità e lo spettacolo fine a se stesso, fra il piacere della tavolata e l'adorazione del piatto e dello chef, fra la sostanza e l'estetica? E quando l'una esclude l'altro e/o viceversa? E quando, invece, convivono?
LE GRANDI REGGE
Scrive Andrea Tagliapietra, veneziano, professore di storia della filosofia e filosofo egli stesso: «Quando visitiamo le regge delle grandi monarchie europee, da Versailles a Schönbrunn, dall'Escorial a Sans Souci, non è infrequente imbattersi in stanze sfarzose, occupate da tavole imbandite, sontuosamente apparecchiate, quali espressione del potere assoluto, che voleva stupire e catturare l'attenzione dei commensali (e ora dei turisti) con effetti spettacolari. È stato giustamente osservato che il cibo, in sé e per sé, nonostante l'abbondanza che caratterizzava queste occasioni, passava in secondo piano rispetto alla componente teatrale della presentazione e all'intenzione di sorprendere l'ospite. Ma egualmente, soffocato dal protocollo e dall'etichetta, svaniva ogni aspetto conviviale. Anzi, se qualcosa collega la magnificenza dei banchetti dell'Ancien Régime con l'attuale spettacolarizzazione globale del cibo in tv, nei giornali e nelle riviste, in rete, sui social network e, ovviamente, nella fantasmagoria delle merci e dei consumi connessi con l'alimentazione , questo tratto è proprio la comune rimozione dell'elemento della convivialità. Così se il cibo diventa protagonista assoluto e viene posto sotto ai riflettori, al centro della scena sociale, sembra invece che il gesto comune del mangiare assieme finisca in ombra, ai margini dell'attenzione collettiva. Come nei fast food (ma non solo) dove musica ad alto volume e schermi con video a ciclo continuo ostacolano la conversazione e riducono tutti gli avventori alla condizione di mangiatori solitari, pronti a liberare al più presto i loro tavoli».
CULTURA DEL CIBO
È una delle innumerevoli riflessioni (eccolo il tema del cibo che si fa spettacolo di per sé e spinge nell'ombra la magia poetica del convivio), stimolate dalla lettura di Pantagruel (La Nave di Teseo, 944 pagine, 27 euro, in libreria in questi giorni), neonata rivista quadrimestrale di Letteratura non letteraria, di mondi narrati, che spazia fra letteratura, filosofia, teatro, musica, arte, storia, fotografia, in un primo numero diviso in 5 sezioni: Concetti, Cibo, Simposio, Vino-Vini, Fame Sete e Digiuno, Metabolismi e Extra, spiega Elisabetta Sgarbi, curatrice dell'opera assieme al filosofo e musicista veneziano Massimo Donà e con il potente contributo del mondo della cultura, del giornalismo e dell'impresa del nordest, dallo stesso Donà a Tiziano Scarpa (scrittore), da Marilisa Allegrini (la signora dell'Amarone) a Giancarlo Moretti Polegato (Mister Prosecco), da Gianni Moriani (Venezia, i caffè e il caffè) a Luciano Ferraro (la Vite).
MANGIARE
Sosteneva, peraltro, e con forza, Tullio Gregory - filosofo e storico della filosofia, ma anche grande appassionato di cibo, mancato un anno e mezzo fa, il cui pensiero viene riproposto da Antonio Gnoli che mangiare è indiscutibilmente un fatto conviviale, non solo nutrizionale. Il detto di Feuerbach L'uomo è ciò che mangia va integrato con l'idea che quel gesto presuppone una cultura. E qui, come dialogasse con Gregory, ancora Tagliapietra argomenta e aggiunge che si potrebbe supporre, a monte della formula feuerbachiana anche se non all'origine, il celebre aforisma del padre della moderna gourmandise, ovvero Jean Anthelme Brillat-Savarin, il quale, all'inizio della sua Fisiologia del gusto, sentenziava dimmi cosa mangi e ti dirò chi sei.
Alta cucina nemica della Convivialità, quindi? Severo censore della creatività nel piatto, Gregory la riteneva il frutto dell'improvvisazione e del dilettantismo. Noto con piacere argomentò - che proprio la Francia, per lungo tempo accanita sostenitrice della cosiddetta cucina creativa, ora reclamizza quella tradizionale. Io sono da sempre per la cucina tradizionale. Non sopporto cuochi o maître che spiegano per mezz'ora quello che c'è nel piatto. Lo chef che discetta sull'origine di un piatto e sui dieci ingredienti che compongono una miniporzione è allucinante. Coniai lo slogan della cucina creativa: tutto sul conto niente nel piatto! Mentre per Brillat-Savarin erano le grandi dimensioni che ricreavano lo spirito. Fino a qualche tempo fa i ristoranti seri servivano dentro i piatti da portata. Oggi si offrono porzioni individuali, possibilmente microscopiche: una seppia su fondo nero è ridicolmente definita piatto zen! Due gamberetti su un letto di insalata o due paccheri ripieni mostrano indiscutibilmente un minimalismo presuntuoso che sazia soprattutto l'occhio e assai meno il gusto. Si vuol dare l'impressione che ogni giorno nascano chef geniali. E sappiamo che non è vero.
MINI-PORZIONI
Aggiunge Tagliapietra: «Anche l'attuale gastromania, nel momento in cui vengono esaltate fino alla voluttà metafisica l'oggettività del cibo e delle bevande, la loro rinomanza e ricercatezza, nonché la specializzazione dietetico-culinaria degli esperti addetti ai lavori l'eroismo spettacolare degli chef e dei gourmet, protagonisti della scena del Babel Food globalizzato sembra seguire la deriva dello strumento superprogrammato, che va, quindi, riequilibrato mediante un consapevole ricupero strategico della convivialità». E, del resto, l'esperienza culinaria è per sua essenza corale, comunitaria, scrive la curatrice. Ed è forse per questo - aggiungiamo noi - che spesso gourmand e recensori delle guide li riconosci al tavolo da soli, concentrati sul piatto e sul (loro) giudizio. Questo e moltissimo altro troviamo dentro Pantagruel, viaggio nel mondo del cibo e del vino fatto di inedite commistioni, racconti, riflessioni, ricordi, proclami e prese di posizione, combinando semplice e complesso, ingenuo e ironico, ardita speculazione e prudente descrizione.
Claudio De Min
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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