Il 24 Febbraio 1946 fu eletto presidente dell'Argentina Juan Domingo Perón,

Sabato 22 Febbraio 2020
Il 24 Febbraio 1946 fu eletto presidente dell'Argentina Juan Domingo Perón, una delle figure più originali e controverse del secolo scorso. Il suo movimento fu contrassegnato da aggettivi che ancora oggi echeggiano nelle nostre cronache, magari con significato opposto a quello allora coniato: giustizialismo, populismo, sovranismo. Non crediamo che il nostro disordinato clima politico ci porti verso un peronismo. Ma vale la pena di rievocarne il fondatore. Era nato a Lobos, nella provincia di Buenos Aires. L'8 Ottobre 1895, da madre della Patagonia e da padre con ascendenti scozzesi, spagnole e italiane. A 16 anni entrò all'Accademia, a 36 si sposò con Aurelia Tizòn e a 43 rimase vedovo. Doveva essere di intelligenza sveglia, perché il governo lo spedì in Italia come osservatore militare. Qui maturò una forte ammirazione per Mussolini, in cui vide un promotore di riforme sociali. Evidentemente ne approvò anche l'attitudine golpista perché nel 43, da colonnello, partecipò alla rivolta dei generali che rovesciarono il governo di Ramon Catillo, minato da un decennio infame di brogli, scandali e corruzioni. Lì assunse incarichi minori, ma quel regime durò poco. Nel 45 scoppiarono dissensi interni, Perón fu arrestato e rinchiuso in un manicomio. Nel frattempo, con l'aumentare dei disordini e delle difficoltà economiche, aumentava anche lo scontento popolare. I più agitati erano i descamisados, scamiciati orgogliosi della loro povertà che rappresentavano un misto di patriottismo socialista e populismo demagogico.
IL TEATRO
Perón si mise a capo di questo movimento, Nel 46 vinse le elezioni e nel 47 organizzò i suoi sostenitori nel Partito giustizialista. Ecco che ritornano gli aggettivi di oggi. Fu a questo punto che entrò in scena l'affascinate first Lady. Evita Duarte era una bella ragazza di estrazione modesta, che il maturo ufficiale aveva impalmato poco tempo prima. Amava le rappresentazioni teatrali e si trovò a rappresentare un popolo. Associava al lusso e alle serate galanti una sincera pietà per i disagiati, e un'ancor più straordinaria capacità di interpretarne e comunicarne la carica emotiva. Nel 47 girò l'Europa suscitando, tra pettegolezzi e sorrisi, aspre contestazioni per gli indirizzi fascisteggianti del suo sposo. Evita, pur delusa per l'incomprensione dei proletari, ritornò comunque trionfante del suo effimero successo. Purtroppo non ebbe il tempo di goderserlo perché poco dopo si ammalò di cancro e morì, a soli 33 anni. Il Paese entrò in un lutto disperato, e si levarono molte voci per la sua beatificazione. Il Vaticano, prudentemente, rimase in silenzio. Con la moglie, Perón perdette anche una consigliera spregiudicata ma avveduta, e infilò errori su errori: si inimicò gli Stati Uniti con il suo terzomondismo e l'URSS, per i ripetuti arresti di comunisti; ruppe anche con la Chiesa e nel giugno 1955 fu scomunicato. Tre mesi dopo un nuove golpe militare sostenuto da una strana alleanza di radicali, socialisti, conservatori e clericali lo destituì. Rassegnato, Perón si rifugiò in Paraguay e infine in Spagna, dove Franco lo accolse con la stessa amabile diffidenza con cui aveva trattato, anni prima, Hitler e Mussolini. Intanto l'Argentina infilava una crisi dopo l'altra.
I SEQUESTRI
Perón, nel frattempo risposatosi con Isabel Martinez, ex cantante e ballerina, colse il momento giusto, e il 17 Novembre 1972 ritornò in patria dove fu rieletto presidente con una maggioranza schiacciante. Ma il consenso durò poco. Il suo stesso movimento era così diviso che si frantumò tra correnti di sinistra, sostenute dai montoneros e di destra, appoggiate dai nazionalisti e dai clericali. Scoppiarono altri tumulti, con numerosi sequestri e omicidi.
L'anziano reggitore si spostò ancora più a destra, arrivando ad appoggiare il regime di Pinochet. Una morte provvidenziale lo sottrasse il 1 Luglio 1974 da un' ennesima probabile defenestrazione. Gli succedette la moglie, subito rovesciata dai militari e l' Argentina entrò nella fase più buia della sua storia.
A distanza di anni, l'unico punto sul quale gli storici sono d'accordo è che su Perón è quasi impossibile formulare una definizione. La sua personalità fu infatti così complessa da confondersi in una pasticciata incoerenza. In economia si ispirò alle teorie di Keynes, e scassò le finanze del Paese: in politica estera predicò il terzomondismo neutrale, ma non riscosse consensi da nessuno; in quella interna mirò a un nazionalismo autoritario, scontentando i liberali per il suo operaismo e i marxisti per le sue simpatie corporative.
GLI EMIGRATI
A questo punto dovremmo domandarci come mai un Paese grande quasi dieci volte l'Italia e con un terzo della sua popolazione, con risorse minerali e agricole virtualmente illimitate, sia perennemente afflitto da un'inflazione galoppante, e da un disordine politico che periodicamente produce improbabili caudillos come Perón. L'Argentina è abitata in gran parte da quegli stessi operosi emigrati che portarono la ricchezza dal Nordamerica all'Australia, professa la nostra stessa fede religiosa, e possiede il privilegio di essere un microcosmo dove coabitano quasi tutte le razze e culture del mondo, e dove è germinato un alto coefficiente di originalità letteraria ed artistica.
E tuttavia non riesce a emanciparsi - , come ha recentemente ben chiarito Vargas Llosa - da queste figure quasi macchiettistiche di dittatori incapaci e corrotti, di preti ossequienti (o, all'opposto, rivoluzionari) di imprenditori ambigui, di latifondisti reazionari e bigotti.
I CRIMINALI
È stata questa singolare composizione a elaborare teorie politiche di eccentriche meraviglie e a creare personaggi come Juan Peron. Indro Montanelli, in uno dei suoi reportages degli anni 50, scrisse che il fascino del Presidente era dovuto ad una politica a ritmo di danza, un tango estatico che induceva a un rapimento sognante. Era una diagnosi esatta, perché Peron fu un mirabolante illusionista che convertì gli entusiasmi popolari in aspettative ingannevoli. Non fu un dittatore sanguinario, e risparmiò al suo Paese le atrocità che i militari gli avrebbero inflitto anni dopo con le tragedie dei desparecidos. Tuttavia, anche prescindendo dai suoi plurimi fallimenti, non possiamo perdonargli l'accoglienza fraterna riservata ai peggiori criminali nazisti. Per colpa sua, personaggi come Eichmann e Mengele sfuggirono, il primo per un decennio, il secondo per sempre, alla punizione dei loro atroci misfatti, e un'intera legione di criminali cosiddetti minori vi trovò rifugio, simpatia e persino ricchezza. Basta questo, per mantenerne un ricordo sgradevole.
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