Il 21 settembre 1860, alla veneranda (per allora) età di 72 anni, e dopo un

Sabato 19 Settembre 2020
Il 21 settembre 1860, alla veneranda (per allora) età di 72 anni, e dopo un pasto abbondante, si addormentava per sempre Arturo Schopenhauer. Per decenni aveva predicato che l'Esistenza ama prendersi gioco di noi. Per prendersi gioco di lui, Essa lo ripagò con un epilogo indolore che, per citare Amleto, tutti noi dovremmo devotamente desiderare. In effetti, nella sua imperturbabile neutralità, la Natura non distingue tra amici e nemici.
Il padre del pessimismo cosmico era nato a Danzica il 22 febbraio 1788 da una famiglia agiata. Era schivo e misantropo, litigò presto con i familiari e maledisse la madre. Non era un buon viatico per un'esistenza serena. Il giovane ripiegò nello studio e a trent'anni scrisse Il mondo come Volontà e Rappresentazione, l'opera che compendia la sua visione negativa del nostro destino. Poi pubblicò altri lavori, ma, come si disse di Vivaldi, scrivendo sempre lo stesso concerto. Alla sua morte, era considerato il massimo filosofo dell'epoca.
Gli esordi erano stati difficili. Nel 1822 era stato invitato a Berlino come Privatdozent. Lì dominava la filosofia di Hegel, che spiegava la realtà in termini razionali, secondo i quali il mondo era il prodotto dell'ordinato sviluppo dello Spirito, dove la macelleria della storia si sarebbe alla fine risolta in una generale e soddisfacente composizione. Schopenhauer, che di Hegel non aveva né il carattere né il reddito, reagì contro questa metafisica che considerava astratta e irragionevolmente ottimistica, definì Hegel un Calibano intellettuale, e per ripicca tenne le sue lezioni in concomitanza con quelle del più illustre rivale. Parlava a sedie vuote, ma procedette imperterrito nella sua requisitoria contro la Vita.
IL SACRIFICIO
Questa, secondo lui, non era affatto governata da una Ragione universale, ma da una Volontà astuta e ingannevole, che mira soltanto a perpetuare l'esistenza dove tutto è lotta, miseria, dolore e morte. Questa forza imperiosa condiziona gli istinti di ogni organismo, e lo costringe a sacrificarsi al compito della riproduzione, quindi a un continuo perire per potersi rigenerare. La più sfortunata delle creature è l'uomo, perché attraverso la sua intelligenza, cioè la rappresentazione degli eventi, scopre di esser la vittima di questo inesorabile e crudele disegno. Il sapere non lo aiuta, anzi ne accresce il dolore perché lo rende consapevole della sua miseria. Era un concetto già espresso dall'Ecclesiaste, di cui Schopenhauer recepisce lo sconsolato determinismo: in questa vanitas vanitatum non c'è speranza di un'evoluzione favorevole, perché più le cose mutano, più rimangono le medesime: eadem, sed aliter è il motto della storia.
Ma le disgrazie non finiscono qui. La Volontà indica traguardi irraggiungibili, e per ogni desiderio appagato dieci ne restano insoddisfatti, perché questa insaziabile Eumenide deve nutrirsi di sé stessa, senza accontentarsi mai. Quanto ai piaceri, essi sono essenzialmente negativi. A ben riflettere, dice il nostro pensatore (ispirando forse Leopardi) il piacere è figlio d'affanno, perché risiede nella cessazione di un dolore: il sollievo di un calcolo espulso dopo atroci sofferenze è enormemente meglio del faticoso atto sessuale. Alla fine, implacabile, Schopenhauer anticipa Baudelaire ammonendo che se anche riuscissimo a soddisfare i nostri desideri, allora subentrerebbe la noia.
L'INARIDIMENTO
Che fare allora? Il suicidio sarebbe una tentazione effimera, ed anzi costituirebbe l'ennesimo espediente truffaldino della Natura, perché la soppressione di una vita individuale non arresterebbe l'inesauribile forza procreativa del resto dell'Umanità. Non resta che una via d'uscita: l'annichilimento della Volontà, almeno di quella del singolo, attraverso la riflessione che annulli il desiderio e ogni istinto naturale. Anche qui, Schopenhauer oltrepassa la rigorosa disciplina di Diogene, e indica come unico traguardo il soporifero Nirvana che inaridisce ogni sorgente di vita e ogni velleità riproduttiva. Lungo questo laborioso percorso, possiamo consolarci con l'arte, e soprattutto con la musica, che in quanto astrazione pura, svincolata da ogni rappresentazione sensibile, è l'immagine della Volontà stessa. Strano a dirsi, il nostro burbero misantropo amava l'esilarante Rossini, che tutto può ispirare, (almeno nelle sue prime opere) tranne che un disperato pessimismo. Wagner si innamorò di queste lugubri teorie, e se ne servì per elaborare le sue torbide saghe nibelungiche.
LE ANIME INQUIETE
Esausti, ma sopravvissuti a questo naufragio di speranza, possiamo guardare con indulgente distacco a questa sconsolante filosofia. Essa ebbe una temporanea ma efficace influenza presso quelle anime inquiete che maledicono la vita come un'insensata successione di eventi mossi da una forza ostile. Molti teorici dell'assurdo trovarono rifugio nella letteratura, come Camus, o nell'impegno politico, come Sartre. Ma altri, disattendendo l'insegnamento del Maestro, scelsero il suicidio come forma di resa alla nostra valle di lacrime. E questa stessa filosofia nichilista di tanto in tanto riemerge, quando l'insoddisfazione della modernità orienta alcuni delusi verso la quiete delle religioni orientali o delle teorie vagamente esoteriche.
Il successo di libri come Siddharta e la processione di neoadepti verso i templi induisti rappresentano la periodica tentazione dell'anima occidentale di condividere la funebre visione di Schopenhauer. Tuttavia, altrettanto periodicamente, essa viene dimenticata o ripudiata. La nostra cultura è (almeno per ora) troppo imbevuta della logica greca, del pragmatismo romano e dell'etica giudaico-cristiana per abbandonarsi alla rassegnazione di un determinismo controllato da una ingannevole forza riproduttiva.
LA SOLUZIONE
Noi conveniamo che l'arte, e soprattutto la musica, costituiscono un eccellente antidoto alla sofferenza e alla noia, ma ne traiamo vigore e incoraggiamento per una vita più operosa e feconda, non per una sterile e ossessiva introspezione. E alla fine, rileggendo le aspre critiche che Schopenhauer rivolse a Hegel, che ancora oggi molti considerano il più geniale di tutti i filosofi, consideriamo perplessi le diverse visioni che oppongono intelletti così vigorosi. Così, davanti a interpretazioni del mondo e della vita tanto numerose quanto inconciliabili, delle quali, in teoria, una sola dovrebbe esser giusta e le altre sbagliate, ritorniamo fiduciosi al nostro amato Pascal, per il quale burlarsi della filosofia è l'unico modo di filosofare.
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