Circa duemilacinquecento anni fa, Euripide si domandava se davvero Giove avesse

Sabato 8 Dicembre 2018
Circa duemilacinquecento anni fa, Euripide si domandava se davvero Giove avesse creato gli uomini, o se non fosse stato il contrario. Da allora schiere di filosofi hanno formulato ipotesi provvisorie. Malgrado gli sforzi di Feuerbach, di Marx e di Freud, ancora oggi miliardi di individui non credono affatto che Dio sia solo la proiezione delle nostre alienazioni, dei nostri timori e delle nostre speranze.
Studiare l'origine delle religioni non significa verificarne il contenuto: se esse abbiano inventato un Creatore immaginario, o non siano piuttosto l'espressione di un faticoso percorso per comprenderne l'esistenza reale.
INCAPACI
Come diceva Pascal, noi siamo ugualmente incapaci di capire il nulla da cui siamo stati tratti e il tutto in cui siamo stati inghiottiti. E tuttavia lo sforzo della mente individuale e collettiva di avvicinarsi all'Assoluto costituisce l'avventura più nobile e più ardita dello Spirito umano. Come questa avventura sia cominciata, non lo sappiamo con certezza, ma qualcuno ci può aiutare. In Italia, a Venezia, Giancarlo Ligabue ne ha cercato la risposta attraverso la paleontologia, l'antropologia e le scienze naturali. Ora la Fondazione creata dal figlio Inti ha organizzato a Palazzo Loredan la mostra Idoli. Il potere dell'immagine, che ci introduce nell'universo enigmatico delle raffigurazioni delle prime idee metafisiche da parte dell'uomo primitivo. La mostra, curata da Annie Caubet, conservatrice onoraria del Louvre, comprende circa cento reperti datati tra il 4000 e il 2000 A.C. Essa rende onore a Giancarlo Ligabue, a tre anni dalla sua scomparsa.
Era nato a Venezia il 30 Ottobre 1931. Il padre Anacleto aveva creato, dopo la prima guerra mondiale, un'azienda di approvvigionamenti, che ben presto aveva raggiunto dimensioni ragguardevoli. Il figlio completò l'opera, estendendone l'attività e rifornendo navi e aerei ai quattro angoli del mondo. Ma l'esercizio imprenditoriale gli stava stretto. La sua curiosità e la sua energia erano inesauribili, e Ligabue mobilitò le sue disponibilità finanziare al loro servizio. Studiò le origini dell'uomo osservandone direttamente le tracce remote. Ma non si accontentò - come Schliemann o Delaporte di riportare alla luce civiltà sepolte o di decifrarne i linguaggi.
LE ORIGINI
Volle comprenderne le origini biologiche, e verificarne i residui inoltrandosi nelle terre più inospitali, e vivendo tra gli ultimi primitivi. Così organizzò e finanziò le esplorazioni più ardite, si vestì di stracci e si avventurò nelle regioni più accidentate e inaccessibili per assimilare gli usi degli indigeni, e farseli amici: anno dopo anno, diventò cittadino delle foreste sudamericane, delle steppe asiatiche, delle savane africane e dei deserti mediorientali. Ovunque acquistò fiducia e rispetto, che gli consentirono di portare in Italia reperti unici e tesori inestimabili.
Oggi possiamo ammirare una parte di questi muti testimoni nella mostra di Venezia, ma l'esposizione perderebbe gran parte del suo significato se non ne cogliessimo l'aspetto religioso, cioè il tentativo dei nostri antenati di dare una rappresentazione sensibile a un'idea maturata molti millenni prima. Quando? Leggiamo le parole di Giancarlo Ligabue. «Tra paleolitico medio e superiore, si pensa si siano verificati nello spirito e nella coscienza dell'uomo determinati mutamenti della struttura della psiche. Alla fase dell'inconsapevolezza si contrappone una sorta di pulsione che gli specialisti oggi attribuiscono a un rapido evolvere della coscienza. Nasce un concetto di religiosità. L'uomo aveva scoperto di avere un'anima». Sono parole di un ricercatore con la sensibilità di un artista e la visione di un filosofo.
In realtà Giancarlo Ligabue costituisce un fenomeno unico, e non classificabile, nel mondo spesso asfittico e convenzionale della nostra cultura scientifica. Non volle nemmeno finire gli studi universitari, anche se la vita lo gratificò di numerose lauree honoris causa e di centinaia di onorificenze e citazioni. Scavando sottoterra in realtà guardava il cielo, e volava troppo alto per curarsi delle formalità. A casa sua potevi incontrare, tra tanti premi Nobel, illustri politici come Gorbaciov o Cossiga, ma anche artisti eccentrici o robusti gondolieri. Se ti metteva in mano i sigilli elamiti, o appendeva al collo di una signora la collana di una famosa regina, lo faceva con la naturalezza di chi sa distinguere tra il provvisorio e il duraturo, tra la materia e il pensiero, tra i paradossi della Storia e la continuità dell'Uomo.
LA FERTILITÀ
È stato forse l'ultimo italiano del Rinascimento. Ha coniugato la fertilità dell'immaginazione con il rigore della ricerca, e l'eccitazione della scoperta con la metodica dello studio, organizzando in modo disciplinato e coerente un'incredibile quantità di nozioni e di reperti secondo un programma razionale.
Nello stesso tempo, ha goduto delle opportunità della vita in tutte le sue manifestazioni più varie, sopravvivendo con cibi infetti nelle terre più inospitali, e distribuendo generosamente caviale iraniano agli amici tra le mura della suo splendido palazzo. Ha curiosato con occhio esperto tra le vestigia dell'antichità, scavando a mani nude nei deserti mesopotamici, ricomponendo ossa di creodonti sepolti nella sabbia, o traendo dalla giungla peruviana tombe dimenticate di guerrieri e di sovrani. Ha sottratto alle ingiurie del tempo e alle distruzioni dell'uomo le testimonianze delle nostre origini, offrendole ai musei di mezzo mondo, e onorando il nome italiano in un settore per secoli monopolizzato da tedeschi, britannici e francesi.
IL PATROCINIO
Ha patrocinato la ricerca medica e l'assistenza solidale con lo stesso entusiasmo della sua attività di imprenditore, convinto che la ricchezza, prima di esser distribuita deve esser creata, secondo le regole del libero mercato. In questo modo ha nobilitato l'arte dell'attività produttiva, devolvendo parte dei profitti a generosi scopi sociali e umanitari. Ed infine ha riportato l'arte della conversazione agli splendori dei salons settecenteschi. Mentre maneggiava una statuetta precolombiana o sfogliava i disegni di Leonardo, Giancarlo Ligabue parlava, con estrema semplicità, di paleontologia e di animismo, di storia e di religione, di arte e di politica, intendendo quest'ultima come un oneroso, ma talvolta necessario, servizio civile. Ma alla fine il discorso ritornava sempre lì: alle origini dell'uomo, alla sua straordinaria evoluzione, e al mistero che si dilata davanti a noi, a mano a mano che aumentano le nostre provvisorie e precarie conoscenze.
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