«Artisti italiani e censura ecco la mia Biennale teatro»

Domenica 20 Settembre 2020
L'INTERVISTA
«Per tre anni ho voluto evidenziare artisti internazionali da far conoscere al pubblico italiano. Questo quarto anno, invece, è stata l'occasione per valorizzazione il teatro italiano, da far conoscere ad un pubblico internazionale». Il direttore Antonio Latella riassume i suoi quattro anni di direzione del Festival Internazionale del Teatro della Biennale, e spiega le scelte fatte quest'anno per il festival che si sta svolgendo in questi giorni w chw si concluderà il 25 settembre. Una Biennale 2020 che sta portando a Venezia 28 opere di 27 artisti, tutte novità assolute. L'italianità non è stata dunque una scelta costretta dal Covid, ma un progetto preciso deciso prima del lockdown che vede gli artisti confrontarsi sul tema della censura.
«Censuriamo perché vogliamo proteggerci - spiega Latella - Eppure il teatro nasce soprattutto per esorcizzare le nostre paure, non censurare serve a comprendere e a conoscere, quindi serve a sconfiggere ciò che siamo per finire con l'accettarlo».
Latella, come nasce questo progetto focalizzato su artisti italiani?
«Il progetto nasce prima dell'avvento del Covid. L'idea era di andare oltre i soliti nomi conosciuti all'estero - da Emma Dante a Pippo Delbono - per cercare di confrontarci con registi e autori la cui forza sta nella scrittura di testi o adattamenti originali. Ho proposto a tutti di trovarsi a Venezia e abbiamo definito assieme il tema».
E ne è uscito un focus sulla censura?
«In realtà si è trasformato in Nascondi(no), ovvero nel disturbare lo sguardo che cerca di vedere. Tutti hanno condiviso frammenti di quello che avrebbero portato a Venezia».
Sostiene di aver dato agli artisti libertà totale, in che senso?
«Questa Biennale è un po' come un Padiglione Italia del teatro, perché dato un contesto ho chiesto agli artisti di non limitarsi. Soprattutto ai giovani ho detto di proporre temi e materiali che non avrebbero mai proposto ad altre produzioni. Talvolta noi registi ci censuriamo e non lavoriamo magari su un Testori o Tarantino perché i programmatori poi temono non venga il pubblico».
Non c'è il rischio che questi lavori vengano visti solo alla Biennale?
«Il primo anno di direzione ho invitato tre registe donne poco conosciute per una retrospettiva che ha consentito loro di esser poi introdotte nei circuiti. La Biennale è dunque una vetrina importante e in questo permette una libertà importante. Poi il Covid ha sdoganato i direttori artistici dal problema di dover riempire le sale: oggi i numeri sono ridotti e c'è una grande possibilità di proporre autori e opere nuovi, senza la paura degli incassi».
Perché la scelta di affidare l'apertura alla poesia con Mariangela Gualtieri?
«È importante guardare alla parola e scoprire quanto sia spesso censurata la poesia».
In Italia oggi le produzioni teatrali sono in difficoltà, come vede la situazione?
«Come Biennale abbiamo fatto un grande sforzo per permettere produzioni di compagnie e credo sia un segnale che va dato. All'estero la proposta rimane ampia, anche perché le famiglie teatrali rimangono su piazza a lungo e poi hanno un sostegno economico pazzesco. In Italia le tournée sono difficili da gestire per la paura e il teatro è rimasto come fanalino di coda negli aiuti».
Nel suo percorso da direttore, il Biennale College ha avuto un impulso rinnovato.
«In tre anni il College si è spostato sul bando under 30 per la regia. Ogni anno abbiamo garantito tutoraggio ed economie a un regista per consentire di presentare un testo e una produzione. In tre anni abbiamo lanciato su un mercato internazionale quattro giovani registi che stanno lavorando bene. Quest'anno con il Covid abbiamo fatto meno masterclass e più mirate, sempre sul tema della censura».
Giambattista Marchetto
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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