«Un solo sensore li avrebbe salvati»

Martedì 24 Settembre 2019
«Un solo sensore li avrebbe salvati»
ADRIA
Una conoscenza del rischio implicito alla lavorazione eseguita, avrebbe salvato le quattro vite che si sono spezzate drammaticamente la mattina del 22 settembre di cinque anni fa. Anche solo la presenza di un sensore. O anche quelle delle maschere a carboni attivi. I due lavoratori che l'hanno indossata quel giorno, infatti, sono sopravvissuti. Parole dei due consulenti nominati dal giudice Nicoletta Stefanutti, chiamati a dirimere le varie tesi in vista della conclusione del processo che vede Mauro e Glenda Luise, Gianni e Alessia Pagnin, Rossano Stocco, Mario Crepaldi e Michele Fiore, responsabili delle ditte Coimpo e Agribiofert, insieme ad Alberto Albertini, titolare della ditta di trasporti Psc Prima di Marano, rispondere dell'ipotesi di reato di omicidio colposo e, i primi sette, responsabili dell'impianto di Ca' Emo, anche di omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, di violazioni al testo unico dell'ambiente e di getto pericoloso di cose.
GESTIONE SOTTO ACCUSA
Uno dei passaggi più significativi della relazione firmata dagli ingegneri Luigi Boeri, di La Spezia, e Francesco Tolaini, di Pisa, è «che le modalità di gestione della vasca D non fossero conformi al processo produttivo autorizzato, non rispecchiandone le finalità e la ricetta, e che l'attività condotta costituiva di fatto una mera miscelazione di rifiuti, finalizzata allo smaltimento illecito dei rifiuti tramite lo spandimento in agricoltura». Il problema viene rilevato anche nel percorso autorizzativo, quindi a monte: «Si ritiene scrivono i due consulenti - che il processo produttivo e l'impianto relativo alla vasca D gestito dalla Agribiofert. non fossero conformi alla normativa ambientale, in quanto l'istruttoria condotta è risultata ampiamente deficitaria in materia di emissioni diffuse. In altri termini, l'impianto Agribiofert generava senz'altro un'emissione diffusa assolutamente non trascurabile associata alla vasca D, che doveva essere sottoposta ad autorizzazione ed oggetto di convogliamento-trattamento».
LA MISCELAZIONE
La causa della tragedia è stata la liberazione, nel processo produttivo, durante l'immissione di acido solforico nella vasca, di acido solfidrico. I consulenti valutano che «l'elemento veramente decisivo sulla dinamica dei fatti sia stata l'operazione di miscelazione della vasca, che ha provocato la repentina liberazione in atmosfera di una considerevole quantità di gas tossici, difficilmente stimabile». E la conclusione è netta: «I quantitativi di solfuri presenti nelle matrici trattate presso lo stabilimento Coimpo/Agribiofert avrebbero dovuto imporre valutazioni del tutto differenti da parte di chi aveva la responsabilità di gestire tali impianti, in quanto l'emissione di acido solfidrico, ma, in condizioni di ordinario funzionamento, anche di ammoniaca, costituivano chiaramente un problema all'ordine del giorno, quanto meno sotto l'aspetto dello sviluppo di odori molesti.
ATTO SCONSIDERATO
Si ritiene in particolare che l'atto di riversare una intera cisterna di acido solforico concentrato all'interno della vasca D, contenente circa 4.000 tonnellate di liquidi e fanghi ad elevato contenuto organico/biologico, in condizioni di anaerobiosi, e nella quale probabilmente in precedenza non era stata neppure aggiunta la calce, che l'acido solforico avrebbe dovuto in teoria neutralizzare, sia stato un atto sconsiderato, che ha fatto sì che la problematica, da odorigena, si sia tramutata in un problema sanitario e di sicurezza sui luoghi di lavoro, mettendo in pericolo la vita dei propri lavoratori e provocando la morte di 4 persone. Tanto più che la vasca D era completamente aperta e priva di qualsiasi sistema di contenimento delle emissioni». Nell'udienza del prossimo 2 ottobre si aprirà la requisitoria del pm Sabrina Duò.
Francesco Campi
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