LE STRUTTURE SANITARIE
NOALE Per dodici anni, dopo quaranta di onorato servizio,

Domenica 8 Novembre 2020
LE STRUTTURE SANITARIE
NOALE Per dodici anni, dopo quaranta di onorato servizio, è rimasto desolatamente chiuso e ora mostra tutti i segni del tempo trascorso. Ma adesso per il padiglione Fassina dell'ospedale Calvi di Noale, si apre una pagina nuova dopo che la Regione l'ha scelto come Covid Hospital aggiuntivo, nell'ambito del piano di recupero di alcune strutture dismesse in tutto il Veneto. Una decisione improvvisa, maturata dopo che l'ex nosocomio di Zevio, nel Veronese, su cui era caduta la prima scelta, ha dovuto in fretta e in furia ospitare gli anziani di una casa di riposo andata a fuoco. Così, la settimana scorsa, una telefonata al direttore generale dell'Ulss 3 Serenissima, Giuseppe Dal Ben, ha messo in moto le operazioni di recupero del Fassina, che in questi giorni procedono frenetiche impegnando una sessantina di uomini, anche della Protezione civile. «Lo useremo come soluzione estrema se nella prevista ondata d'urto della pandemia, il sistema sanitario regionale, ospedaliero e domiciliare, dovesse andare in tilt», dice Dal Ben, accompagnandoci nel sopralluogo al padiglione da cinque piani, assieme al responsabile dei progetti dell'azienda sanitaria Ruggero Panfilio e ai tecnici.
L'ALLESTIMENTO DEI LETTI
D'altronde con gli ospedali a rischio di saturazione, bisogna essere pronti a tutto. Qui verranno allestiti 120 posti letto per pazienti a bassa intensità e il personale di assistenza proverrà da cooperative. «Nel caso, saranno accolti positivi asintomatici che necessitano ancora di essere seguiti prima di rientrare a domicilio», spiega Dal Ben, persone cioè che si sono riprese ma non ancora così bene, e vanno monitorate fino al momento in cui si potranno considerare guarite e autonome. «È l'ultimo gradino della scala dell'assistenza, che vede in cima i Covid Hospital di Dolo e Villa Salus, i cui posti letto potenzialmente sono tutti per i contagiati se la situazione degenerasse, quindi la rete degli altri ospedali con l'hub dell'Angelo in testa e la stessa presa in carico domiciliare. Insomma, ci auguriamo che la struttura non serva, ma se fosse necessario non ci faremo trovare impreparati», specifica il dg.
LA GRU AL LAVORO
All'esterno, sul fronte meridionale delle terrazze, nei pressi di quella che sarà l'entrata dove eventualmente si fermeranno le ambulanze per scaricare i pazienti barellati, una gru si muove su e giù per i piani portando gli operai a caricare il materiale necessario e scaricare quello di risulta da smaltire. Dentro, dove porte e finestre sono tornate ad aprirsi, tornando a far girare l'aria, attraversiamo i lunghi corridoi dei vecchi reparti su cui si affacciano le stanze che una volta erano da quattro o sei posti letto, oltre a qualche singola per i dozzinanti, i vecchi bagni, gli ambulatori, gli studi dei medici. Rimane ancora qualche cartello che risale a metà degli anni Novanta.
Gli operai lavorano a testa bassa per eseguire il ripristino di base della struttura, le pulizie di fondo con i lavaggi e le sanificazioni, il riavvio degli impianti termoidraulici e per l'erogazione dell'ossigeno, fondamentale se il paziente mostrasse i problemi respiratori tipici della malattia. Costo massimo previsto: 300 mila euro. L'antincendio, le porte tagliafuoco e le indicazioni sulle uscite di emergenza ci sono già.
Dal Ben passa, osserva gli ambienti, s'informa sull'avanzamento delle opere. «Saremo pronti al più presto, non oltre fine mese. Il Fassina è una struttura strategica perché baricentrica rispetto a Venezia, Padova e Treviso», sostiene. Al quinto piano, la fiamma ossidrica rilascia zampilli incandescenti dentro il vano degli ascensori che vengono riattivati. Usciti nella grande terrazza panoramica sul tetto, alla domanda se il padiglione in futuro possa tornare ad avere una funzione sanitaria, il dg non chiude: «Valutiamo, strutture come queste sono dei polmoni importanti». Il sopralluogo finisce dalla parte del monoblocco nuovo dove, al terzo piano, sono ricoverati nove pazienti Covid nell'ospedale di comunità, che al momento condivide gli spazi con l'unità riabilitativa territoriale in attesa di essere spostato nell'ala nord quando saranno i finiti i lavori di predisposizione. Il quarto piano, invece, continua a restare al grezzo, ma Dal Ben si sbilancia: «Bisogna completarlo».
Alvise Sperandio
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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