BRUGNERA
La Procura di Pordenone ha chiesto l'archiviazione del fascicolo d'inchiesta

Martedì 28 Novembre 2017
BRUGNERA
La Procura di Pordenone ha chiesto l'archiviazione del fascicolo d'inchiesta sul commando che l'8 gennaio 2016 terrorizzò la famiglia Verardo a Tamai. Le indagini - nonostante il fermo di un colombiano a Parabiago, in Lombardia - non avrebbero avuto sviluppi tali da consentire al pm Federico Facchin di portare i sei sospettati a giudizio. Da qui la decisione - condivisa dal procuratore Raffaele Tito - di chiedere l'archiviazione del fascicolo.
Fu un'alba di terrore. Quattro rapinatori riuscirono a entrare nella villa di via Julia alle 6.30 del mattino. Erano armati e travisati con delle maschere di Carnevale. Portarono via soldi, gioielli, una pistola Beretta 7,65 e le chiavi di una Bmw. Picchiarono Massimo Verardo con il calcio di una pistola, poi gli legarono mani e piedi con del nastro adesivo. Anche il padre Giuseppe e la madre furono immobilizzati. Strapparono poi delle maglie di cotone e infilarono gli stracci nelle bocche delle vittime per impedire che urlassero. Fuggirono con una Peugeot 207 che era in garage.
I carabinieri del Nucleo operativo di Sacile lavorarono senza risparmiarsi. Fu subito escluso un collegamento con l'agguato alla famiglia sacilese dell'imprenditore Giovanni Polesello (14 settembre 2016), con cui Giuseppe Verardo aveva collaborato in ufficio fino al 2014. La banda di Tamai lasciò diverse tracce. Dimenticò alcuni oggetti in casa e nell'auto usata per la fuga furono recuperati un berretto e persino una delle maschere. C'era un Dna. Ma non era riconducibile ai sospettati. L'attenzione, infatti, grazie all'incrocio di tabulati telefonici e telecamere si era concentrata su un gruppo sudamericano. Fu un percorso investigativo molto complesso, che nel luglio 2016 portò al fermo di un colombiano a Parabiago. Il provvedimento, emesso dalla Procura, era giustificato dalla necessità di impedire al sudamericano di scappare in Spagna. Il gip di Busto Arsizio convalidò il provvedimento, lasciò l'indiziato in carcere e si dichiarò incompatibile. Tutto si arenò quando gli atti furono sottoposti all'attenzione del gip di Pordenone, che ritenne insufficienti gli elementi raccolti. Ma i carabinieri, convinti di aver imboccato la pista giusta, non hanno mai smesso di indagare in quella direzione.
Cristina Antonutti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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