«Lo aspettavamo a casa, ancora non ci crediamo»

Giovedì 15 Agosto 2019
«Lo aspettavamo a casa, ancora non ci crediamo»
IL LUTTO
PADOVA Erica e Alessandra, moglie e figlia di Roberto Perongini, ancora non riescono a credere a quello che è accaduto. «Lo aspettavamo a casa, ma anche se tardava un po' non ci siamo preoccupate - racconta la prima - perchè a volte capitava che dovesse trattenersi di più al lavoro. Poi i vigili ci hanno avvertiti verso le 18, ma non abbiamo fatto in tempo a salutarlo. Quando siamo arrivate in ospedale Roberto era già morto. Non sappiamo cosa sia successo, come mai non ci abbiano avvisato subito, forse non ci hanno trovate».
Le due donne si supportano a vicenda, si fanno forza l'un l'altra in quella casa diventata all'improvviso così silenziosa e cupa. Sul divano c'è anche, stretto alla moglie, il fratello di Roberto, appena salito da Salerno. I loro occhi hanno finito tutte le lacrime da piangere. «Non ci rendiamo conto che non c'è più - sussurra con un fil di voce Erica, guardando Alessandra con tutta la sua tenerezza - Non riusciamo ancora a crederci. Era uan cosa normale per lui andare in moto, ma era prudente. Non capiamo come sia possibile».
I colleghi medici sono senza parole. Roberto Ceri lo ricorda con grande affetto: «Ci conoscevamo dall'Accademia, io ero un paio di corsi davanti a lui, ma abbiamo continuato a sentirci e a vederci. Era un amico prima che un collega. Di lui non posso fare altro che dire cose belle, perchè era una persona fantastica. Di solito dicono di noi medici legali che siamo insensibili. Beh, Roberto no, non era così. Anzi. Era serio, equilibrato ma anche molto umano. Ci mancherà, mancherà a tutti noi.
Alvino Stelio, come altri medici dell'Accademia, lascia un suo ricordo: «Ci siamo conosciuti nell'età dell'immortalità, delle risate e della goliardia. Le nostre strade presto separate per continuare su percorsi differenti il nostro sogno professionale. Ritrovati nel 2017, dopo 35 anni da quel 12 novembre del 1982 giorno in cui mettemmo piede, ciascuno proveniente da parti differenti d'Italia, per la prima volta in quel posto incredibile che fu l'Accademia di Sanità Militare Interforze a Firenze, fisicamente cambiati ma con gli occhi che ci facevano vedere ancora 18enni. E dopo 35 anni di molti altri, quella sera, forse poche le parole che siamo riusciti a scambiare, così meravigliati tutti di come il tempo ci avesse modificato. Ora il destino ha deciso per te. Ha deciso che la tua missione terrena fosse conclusa. Noi 28 Cadetti del XV Corso Neasmi siamo stati precocemente abituati a vederci ridurre nel numero, ma non così. Non in questa maniera irrimediabilmente irreversibile, totale, definitiva. Ma perché ciascuno sceglieva la sua strada terrena più opportuna. Ora, Roberto, da ieri capiamo che c'è pure questa. Chissà se un giorno riusciremo a prenderci in giro come una volta facevamo».
M.Lucc.
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