L'INTERVISTA
PADOVA Aveva preso in prestito quel binomio da Treviso. Parole latine

Venerdì 23 Luglio 2021
L'INTERVISTA PADOVA Aveva preso in prestito quel binomio da Treviso. Parole latine
L'INTERVISTA
PADOVA Aveva preso in prestito quel binomio da Treviso. Parole latine sintetiche, ma efficaci nel dare l'immagine di quanto si voleva identificare. E così l'Urbs Picta è diventata il simbolo degli affreschi padovani, conosciuto in tutto il mondo e trasformato in logo in vista del riconoscimento Unesco. A pensare di utilizzarle per questo scopo era stato Flavio Rodeghiero, assessore alla Cultura dal 2014 al 2015 e poi dimissionario, oggi professore che collabora con la cattedra di Storia Contemporanea a Padova e di Storia Moderna alla Sapienza di Roma, membro della giunta di Confapi per l'internazionalizzazione delle imprese e dell'Ogd di Padova, nonché titolare di quattro lauree.
Rodeghiero, com'è nata l'Urbs Picta?
«Nel 2006 la Cappella degli Scrovegni era stata inserita nella tentative list che il Comitato italiano Unesco presentò con le candidature. Qualche anno dopo, però, si è pensato di estendere la candidatura al ciclo trecentesco degli affreschi padovani, cioè luoghi quali la Cappella Carrarese, gli Eremitani, Sant'Antonio, San Giorgio, il Battistero e l'Oratorio di San Michele».
E poi cos'è successo?
«Si è formata una squadra, composta da Comune, Diocesi, Basilica di Sant'Antonio e Accademia Galileiana, abbiamo confermato come consulente Unesco Giorgio Andrian ed è iniziato il lavoro operativo per l'Urbs Picta, con incontri e confronti. Il primo risultato, poi, è arrivato nel 2016 quando il Ministero dei Beni Culturali ha comunicato che era stata accolta l'idea di inserire nella candidatura gli altri luoghi, in aggiunta alla Cappella giottesca».
Una novità assoluta.
«Certo. Nel frattempo avevo fatto predisporre un opuscolo sugli affreschi padovani, ma addirittura a partire dal mille, cioè da quelli presenti nella chiesa di San Michele a Pozzoveggiani, per finire al XX secolo, con Campigli al Liviano, Annigoni al Santo e Pendini al Bo. Il compianto Philippe Daverio diceva che queste pareti dipinte sono una sorta di televisione del tempo, che comunicano valori attraverso le immagini degli affreschi stessi».
E Padova ha una ricchezza inestimabile di capolavori.
«Certo, e sarebbe bellissimo effettuare un censimento per far conoscere pure quelli custoditi nelle abitazioni private che sono davvero tantissimi. Bisognerebbe sottoscrivere un accordo con i proprietari per poterli mettere a disposizione dei visitatori, come avviene per le Ville Venete».
Domani quasi sicuramente arriverà la proclamazione: che cosa sarà determinante per il verdetto positivo della Commissione?
«Credo che il lavoro di squadra, che se si è protratto senza interruzione nonostante i vari cambi di amministrazione, e il coinvolgimento del territorio, abbiano portato a questo tanto atteso risultato. Nel Veneto, se mettiamo insieme le energie, gli obiettivi si raggiungono. Padova ha un tesoro incommensurabile che adesso finalmente, grazie al sigillo, verrà conosciuto universalmente. Già nel Trecento aveva una configurazione internazionale, e non è un caso che per esempio Giotto, Donatello o Petrarca si siano trasferiti qui, come facevano pure i podestà fiorentini, attirati da una realtà culturale di grande valore».
Adesso come si dovrà proseguire?
«Valorizzando, oggi come allora, competenze ed eccellenze, compresa l'Università che come terza missione, dopo ricerca e insegnamento, ha proprio quella di rafforzare il rapporto con il territorio. Fare squadre e aprirsi al mondo, queste devono essere le parole chiave. Perché Padova ha due siti Patrimonio Mondiale dell'umanità, ma ha ancora tante cose da dire e da proporre a livello mondiale».
Nicoletta Cozza
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