LA CERIMONIA
VENEZIA Mancava solo Gianni, il più vecchio di età e il

Mercoledì 15 Agosto 2018
LA CERIMONIA
VENEZIA Mancava solo Gianni, il più vecchio di età e il più provato dalla malattia. Per il resto c'erano invece tutti per l'ultimo saluto a Cesare De Michelis, ieri pomeriggio nell'afa dei Santi Giovanni e Paolo, chiesa cattolica e rito valdese per un addio a metà tra il religioso e il laico, come sarebbe piaciuto al presidente di Marsilio: gli altri fratelli Marco e Giorgio, la sorella Maria Ida, la moglie Emanuela Bassetti, i figli Luca e Giulia, i nipoti. E poi i suoi autori e i suoi colleghi, da Michela Murgia a Teresa Ciabatti, da Ferruccio de Bortoli a Ricardo Franco Levi, da Gaia De Beaumont a Lisa Ginzburg, da Alessandra Necci a Carlo Ossola, da Carlo Mastelloni ad Alessandro Monti.
CULTURA E POLITICA
Impossibile citarli tutti, i 600 che circondano il feretro di legno chiaro, sovrastato da un cuscino di lisianthus bianchi appena punteggiato di rosso e di giallo. Ma di certo ci sono la cultura e la politica, di oggi e di ieri, nei loro infiniti incroci veneziani: in ordine sparso, Paolo Baratta, Giuliano Segre e Laura Fincato, Paolo Costa, Cesare De Piccoli, Maurizio Sacconi, Gianfranco Bettin, Carlo Alberto Tesserin, Diego Bottacin, Nicola Pellicani. Nereo Laroni sta in mezzo alla navata centrale, Luca Zaia è defilato a fondo basilica. Tocca a due giovani De Michelis, camicia candida e sguardo pulito, proclamare le sacre scritture di Isaia e San Paolo. «Sappiamo quale importanza ha avuto la parola scritta nella vita di Cesare annota la pastora Ilenya Goss per lo sviluppo della libertà di pensiero e la crescita dello spirito critico».
MUSICA E RICORDI
I figli non trattengono le lacrime, la moglie si sforza di sorridere. Un violino fa risuonare le note di Bach, le memorie provano a lenire il dolore della perdita. «Cesare De Michelis è stato un fine letterato, un esponente culturale, un uomo molto colto rammenta il sindaco Luigi Brugnaro ma è stato anche un imprenditore che si è cimentato con le difficoltà dell'impresa e dell'economia. Da lui ho imparato l'umiltà e il coraggio, ci lascia una persona perbene». Uno dopo l'altro, salgono sul pulpito i tre amici a cui la famiglia ha chiesto un ricordo pubblico. Massimo Cacciari parla con la voce rotta dalla commozione: «È molto difficile parlare di una persona con la quale si è nati e con la quale si sono vissuti tutti gli anni che decidono della tua esistenza. Cesare era curioso, attento, aveva voglia di meravigliarsi di tutto quello che gli stava attorno e gli accadeva, di indagare, ironizzare, criticare, giudicare, discernere, distinguere. Cesare poteva sopportare tutto ma non il luogo comune, non la banalità, non il cattivo senso comune. Poteva amare invece il paradosso, la contraddizione, il conflitto, perché in quello vedeva la molla per ogni avanzamento». Ma c'è un termine che, secondo il filosofo, più degli altri racconta De Michelis: «Professione. Professionista come storico della letteratura, professionista come editore. Non c'è professione che non sia vocazione e la professione non può essere improvvisata. Mi piace pensare che Cesare, come l'Anzoleto di Goldoni, continuerà a fare il suo dovere dove adesso si trova. Non è un modo di dire, perché se abbiamo capito qualcosa di lui e della sua vita, continueremo o cominceremo a farlo noi. E allora in qualche modo sarà come lo facesse ancora lui».
IL CAVALIERE E L'ARCA
All'economista Francesco Giavazzi il compito di tratteggiare l'imprenditore, «orgoglioso del titolo di cavaliere del lavoro», ma anche il cittadino, «pietra di Venezia»: «Aveva le idee, la passione per il lavoro ben fatto e il senso degli affari. Expo, Sublagunare, Mose e Grandi Navi erano argomenti per baruffe infinite fra noi, sempre con ironia, amore del paradosso, passione. Non è andato tutto come voleva, la Venezia commerciale si è trasformata in un mercato di paccottiglia. Ma Marsilio è Venezia e il futuro della città dipende anche dalla volontà che Luca ed Emanuela manifesteranno di restare sulla sua traccia». Ad ogni modo la rotta è ormai segnata, secondo il docente universitario Giuseppe Lupo: «Una volta Cesare paragonò l'editore a chi aspetta sulla riva del mare manoscritti in bottiglia: È solo questione di spazio. Mondadori ha una spiaggia più lunga, io una più corta, ma l'esercizio è lo stesso: aspettare. Questo particolare la diceva lunga sulla capacità di Cesare nel pronunciare fiabe che coincidessero con la verità. La sua casa di Dorsoduro per me era una maestosa arca di libri e su quell'arca di carta noi continueremo a incontrarlo». Intanto però è una piccola barca, su cui salgono i fratelli Marco e Giorgio, ad accompagnare l'editore nel suo ultimo viaggio: a San Michele, dove sarà cremato. Ma nell'aria resta il suo testamento morale: «È più importante vendere i libri che si fanno, che fare i libri che si vendono».
Angela Pederiva
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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