IL RETROSCENA
ROMA I due sostengono di «aver recuperato un rapporto politico»,

Venerdì 3 Luglio 2020
IL RETROSCENA
ROMA I due sostengono di «aver recuperato un rapporto politico», ma quando si prova a scendere nel concreto, la fragilità dell'alleanza di governo mostra tutta la sua forza. Il segretario del Pd Nicola Zingaretti arriva a palazzo Chigi nel primo pomeriggio di ieri dopo una settimana di frecciatine divenute vere e proprio bordate nei confronti del presidente del Consiglio e la «palude» nella quale galleggia il governo dopo la Fase2 e gli stati generali. Ad accogliere il segretario dem un Giuseppe Conte sempre più incline a considerare le alte percentuali di gradimento che ritrova nei sondaggi, come segno che la colpa dello stallo non sia sua ma dei partiti che lo sostengono. Poichè uno, il più importante - quello del 33% e della scatoletta di tonno - di fatto si è liquefatto ed è preda di capibastone interni, il Pd di Zingaretti avverte il pericolo di doversi caricare a settembre non solo la probabile sconfitta elettorale alle regionali, ma anche il peso di una crisi economica senza precedenti.
IL NERO
E così i due parlano, per la prima volta dopo molto tempo, quasi un'ora. «Vogliamo un cambio di passo, o il governo fa politica o ci impantaniamo», sostiene Zingaretti. «La pensiamo allo stesso modo: bisogna correre», sostiene Conte promettendo di accelerare il più possibile la macchina del governo specie ora che «occorre mettere nero su bianco un dettagliato piano» per spendere le risorse messe in campo dall'Unione Europea. Franceschini e Orlando sono i due dem che Zingaretti mette a disposizione.
Di fatto si sancisce una tregua, almeno sino a settembre, anche perché i due sono uniti da un destino comune. E se Zingaretti ha dovuto alzare i toni per rispondere alle voci critiche che si sono iniziate a levare nel Pd, Conte è consapevole di quanto possa essere complicato governare con un altro partito balcanizzato, oltre al M5S, e di nuovo in fase congressuale. E' per questo che, poco prima del faccia a faccia, il premier tende le mani a Zingaretti sulle regionali sostenendo che «sarebbe una sconfitta per tutti, anche per me, se non si trova un modo per fare un passo avanti. Basterebbe mettere da parte le singole premure». Un appello che il premier rivolge al M5S, ma che cade nel vuoto, oltre ad agitare il dibattito interno al M5S che si divide tra coloro che contestano l'invito ad allearsi con il Pd e l'apertura che lo stesso Conte ha fatto - sempre ieri - a Forza Italia definita «la forza politica più responsabile e dialogante». Un movimentismo, quello del premier, che evidenzia quanto sia incerta la navigazione dell'esecutivo che potrebbe tra qualche settimana scoprire di stare ancora in piedi ma con una maggioranza diversa in forza di quella «sfiducia costruttiva implicita», teorizzata dal costituzionalista Stefano Ceccanti, che non fa cadere governi senza che ci sia pronto «un nuovo equilibrio».
Ed infatti nel dare rassicurazioni sulla volontà di ricorrere al Mes, il presidente del Consiglio non nasconde a Zingaretti il terrore per il voto che dovrà esserci in Parlamento e per le ulteriori spaccature che provocherà nei grillini l'inevitabile ricorso al Meccanismo Europeo di stabilità. Seppur su fronti, per ora opposti, Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista, lo attendono proprio su questo tema. «L'avvocato del popolo» ne è ben consapevole e cerca di rinviare l'appuntamento che potrebbe celebrare l'ingresso di FI in maggioranza. Un appuntamento però non potrà slittare oltre metà ottobre, quando verrà presentato a Bruxelles il Piano di ricostruzione italiano con tanto di riforme e di spese anche in campo sanitario.
Per evitare di scaricarsi a vicenda l'accusa di immobilismo, Conte e Zingaretti potrebbero a loro volta prendersela con i grillini i quali, non avendo un leader, si preparano a tirarsi fuori da gioco delle responsabilità che a settembre rischia invece di abbattersi su Zingaretti. La voglia di ricucitura con il Pd ha spinto Conte ieri a concedersi una passeggiata a favore di taccuini e telecamere, ma tra i dem aumentano i dubbi sulla capacità di Conte di gestire la Fase3.
In attesa di vedere fatti concreti, al Nazareno ci si attrezza per il peggio sollecitando il cambio della legge elettorale. L'accordo risale allo scorso ottobre, quando il Pd votò in quarta lettura il taglio dei parlamentari in cambio di una rapida riforma della legge elettorale. Difficile però che il voto possa esserci prima delle elezioni regionali di settembre, visto che il Pd potrebbe aver bisogno dei voti di FI per far passare una legge elettorale che Iv non vuole.
Marco Conti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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