IL COLLOQUIO
PADOVA Una lunga boccata dalla sigaretta, come se, senza, non potesse

Venerdì 18 Ottobre 2019
IL COLLOQUIO
PADOVA Una lunga boccata dalla sigaretta, come se, senza, non potesse respirare. Poi Carlo (nome di fantasia), imprenditore edile 50enne padovano, inizia a raccontare l'incubo in cui è piombato undici anni fa, quando ha stretto per la prima volta la mano ad Antonio Genesio Mangone, l'ndranghetista calabrese affiliato alla cosca Grande Aracri di Cutro, finito in carcere l'altro giorno. Incubo che per l'impresario si è concluso mercoledì alle 7.15, quando tre carabinieri e tre finanzieri hanno suonato al campanello di casa sua. «Il magistrato della Direzione distrettuale antimafia Bruno Cherchi dice che siamo vittime omertose - sbotta - Non è vero. Se non ho denunciato è stato per paura e vergogna. Adesso che ho raccontato tutto, sono sereno, mi sembra di essere tornato a vivere».
IN QUATTORDICI
Il padovano è una delle altre probabili 14 vittime (tre veneziani, un vicentino, sette padovani, due trevigiani e un rodigino) del boss 54enne di Cosenza accusato di estorsione aggravata da metodo mafioso e già coinvolto nell'inchiesta Camaleonte sulle infiltrazioni della Ndrangheta culminata nel blitz di marzo. Quattordici impresari che hanno subìto in silenzio le minacce, le pressioni e i ricatti di Mangone. Un silenzio che il procuratore capo antimafia di Venezia ritiene espressione della «cortina di omertà» che si respira in Veneto.
E proprio questa accusa ha fatto scattare nel padovano la volontà di parlare, di spiegare perché non ha denunciato. «Non c'è omertà - comincia il cinquantenne, prendendo un'altra lunga boccata dalla sua sigaretta - In primis ci sono paura e vergogna. Vergogna a dire che non riesci a pagare i fornitori. Se uno in Veneto ha l'azienda che va male, è peggio che avere la peste nera. E poi noi non sappiamo cos'è davvero la mafia. Non ne ho parlato con nessuno, nemmeno con mia moglie. Mi rammarico di non aver denunciato. Ma che ci sia omertà, no. Quello no. C'è paura. Sei convinto di potercela fare da solo, perché sei veneto e credi che tutti i problemi si possano risolvere. Ti vergogni di far sapere che sei stato preso nel sacco da questa rogna. E hai paura per i tuoi familiari, che possano fare una brutta fine».
L'ESORDIO
Il padovano inizia a raccontare. Tutto inizia nel 2008, quando stava costruendo delle villette nel Veneziano. «Avevo dei rapporti con Adriano Biasion (54enne di Piove di Sacco, detenuto in carcere da marzo, cui sono contestati decine di episodi di riciclaggio, ndr). Faceva intonaci per mezza Padova. Lo conoscevo dal 2001. Aveva una bella azienda. E a un certo punto facciamo un accordo con lui. Io gli avrei dato in permuta una villetta, lui me l'avrebbe pagata, con quei soldi avrei pagato un altro fornitore e quel fornitore avrebbe pagato lui. Era una pratica abbastanza comune in quegli anni per frazionare il rischio e diminuire l'esposizione finanziaria. Ad aprile 2008 stipulo il preliminare. A novembre 2008, con la crisi Lehman Brothers le banche chiudono i cordoni, noi abbiamo difficoltà a pagare, ma intanto andiamo avanti per finire quella permuta. Biasion era stanco dei ritardi e un giorno mi porta nell'ufficio Mangone con Lovo (Leonardo, anche lui finito nell'operazione Camaleonte, ndr) e un altro individuo sconosciuto. Mangone mi dice: Io ho prestato soldi a Biasion, tu devi dei soldi a Biasion e quindi tu devi dei soldi a me. Da lì è partita tutta una sequela infinita di improvvisate, appuntamenti, minacce, appostamenti. Non mi ha puntato la pistola addosso ma la pressione era notevole».
La permuta della villetta viene finalmente perfezionata, così Carlo crede che tutto sia finalmente finito. Invece no: «Iniziano a dirmi che la villetta non vale più la cifra prevista (210mila euro), ma meno (150mila euro) perché il mercato è crollato. Pretendevano da me la differenza. Io i soldi non li avevo».
LE PRESSIONI
Partono le pressioni. «Trovavo Mangone - continua - nel mio ufficio appena rientravo. Arrivavo io e 5 minuti dopo arrivava lui e io non ho orari fissi. Quindi mi seguivano. Ogni tanto lo incrociavo per strada. Probabilmente ero pedinato. Trovavo dei mozziconi del sigaro che fumava lui fuori da casa mia. Mi seguiva. Ho iniziato a guardarmi attorno quando tornavo alla sera. Avevo paura. Poi Mangone mi dice: Bella moglie e belle figlie. Sai, non fare cazzate, sarebbe un peccato avere problemi in casa. Sarà venuto 100 volte. Quando non ce la facevo più, uscivo fingendo di aver voglia di una sigaretta. Così non entrava in azienda e non coinvolgevo chi era in ufficio con me, tra cui mia moglie che non volevo che sapesse».
Il padovano sperava di rabbonirlo: «Un po' cercavo di tenermelo buono. Gli offrivo il caffè al bar, nella speranza di portare avanti il problema perché speravo che si risolvesse tutto sa solo. Avevo capito subito che era gente poco raccomandabile, ma pensavo che fosse semplicemente uno che si occupava di fare recupero crediti in maniera un po' fuori dagli schemi. Sai, invece che farti scrivere dall'avvocato, ti si presentava in ufficio. Un amico meridionale mi aveva anche detto di stargli lontano, che era brutta gente. Ma era troppo tardi».
L'ESASPERAZIONE
Poi sono arrivate le minacce pesanti e l'esasperazione: «Una volta in cantiere mi ha detto: Se fossimo in Calabria saresti già 3 metri sotto terra. E io, in un moto d'orgoglio, ho risposto: Per fortuna che siamo in Veneto e queste cose non succedono. Ma non c'era nulla da scherzare. Hanno anche provato a tirarmi dentro il loro meccanismo. Mi dicevano di segnalare a loro se avanzavo soldi da qualcuno e che ci avrebbero pensato loro, che erano una famiglia. Cercavano di trasformare le vittime in carnefici. Mi sono ben guardato dal farlo. A un certo punto qualcosa ho pagato. Quello che potevo, nella speranza di togliermeli dalle scatole. Non ce la facevo più. Gli ho anche detto: Fai quello che devi fare. Vuoi mettermi nel bagagliaio? E allora fallo. Basta».
La fine dell'incubo ieri con l'arrivo di finanza e carabinieri: «Ho fatto 9 pagine di deposizione. Le ho rilette e ho pensato a che anni d'inferno mi ero fatto. Ora sono più sollevato. Ora ricomincio a respirare».
Marina Lucchin
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci