Ergastolo per il marito di Samira, scomparsa da due anni: «È morta»

Sabato 19 Giugno 2021
LA SENTENZA
ROVIGO Ergastolo. È la sentenza della Corte di Assise di Rovigo, come richiesto dall'accusa, per il 41enne Mohamed Barbri. Il marocchino era imputato per l'omicidio e l'occultamento del cadavere della moglie Samira El Attar, scomparsa a 43 anni il 21 ottobre 2019 a Stanghella, in provincia di Padova, sparita nel nulla dopo aver accompagnato la figlia di 5 anni a scuola. L'uomo ha ascoltato in silenzio il pronunciamento della Corte, poi, portato via dalla polizia penitenziaria, ha incontrato i suoi avvocati per pochi minuti. «Sono innocente» ha ripetuto loro, quando ha capito il suo destino. I giudici gli hanno tolto anche la patria potestà e l'hanno condannato al ristoro delle parti civili: 300mila euro alla suocera Malika El Abdi, 100mila allo zio di Samira, 100mila al cognato, e 3.500 all'associazione Penelope, oltre tutte le spese legali.
Grande soddisfazione per l'avvocato Nicodemo Gentile che rappresentava la madre, lo zio e il fratello della vittima, e Stefano Tigani, legale dell'associazione che tutela famiglie e amici delle persone scomparse. Annuncia già il ricorso in appello, invece, l'avvocato Riziero Angeletti che con Francesco Zacheo ha difeso il marocchino. «Mi domando come sia possibile in un processo indiziario come questo che i giudici possano affermare la colpevolezza oltre ragionevole dubbio». E non è mancata la polemica. Angeletti alla conclusione della propria arringa ha manifestato al presidente della Corte Angelo Risi una lamentela riguardante l'atteggiamento di un giudice popolare: «Annuiva ad ogni affermazione del pubblico ministero, prendendo appunti, mentre era distratto mentre parlava la difesa, un atteggiamento che non mi sembra super partes come richiederebbe il ruolo».
Il magistrato, Francesco D'Abrosca, ha ripercorso tutte le tappe fondamentali dell'indagine, dalla notte della scomparsa della donna, alla fuga del marito il giorno di capodanno del 2020 puntando tutto sulla sua morbosa gelosia, movente dell'omicidio, che sarebbe avvenuto per strangolamento. «In un processo indiziario - ha evidenziato il pubblico ministero - diventa di rilevante importanza il movente, e la gelosia di Mohamed Barbri spiega il perché l'imputato avrebbe avuto motivo di liberarsi della moglie».
Un motivo che ha superato la mancanza di prove, del corpo, dell'arma del delitto e di una confessione, anche parziale, dell'imputato.
LA DIFESA
La difesa del marocchino aveva puntato proprio su questo, evidenziando che senza queste certezze non ci sarebbe nemmeno quella della morte della donna. A pesare contro Barbri è stata anche unanimità delle testimonianze riguardo al fatto che Samira non si sarebbe mai separata da sua figlioletta. Questo nonostante la difesa del marito avesse portato a conoscenza della Corte il fatto che la 43enne in passato aveva già abbandonato un figlio, il primogenito Yasser, ora ventenne, che vive assieme al padre in Marocco da quando la madre Samira venne in Italia. Inoltre, anche la fuga di Mohamed Barbri in Spagna è stata letta come un pesante indizio di colpevolezza. E pure la sequenza dei teatrali ritrovamenti, prima lo stivale nero, poi un portachiavi col nome di Samira e, infine, anche la catenina, tutti fatti da Barbri, sempre nella stessa zona, a ridosso della Statale 16, dove già erano passate la battute di ricerca nei giorni immediatamente successivi alla scomparsa della moglie, più che offrire risposte durante le indagini hanno addensato i sospetti di colpevolezza sul 41enne. Senza contare, infine, le testimonianze che hanno descritto Barbri come un giocatore accanito alle slot machine, motivo per cui la moglie non gli concedeva la possibilità di gestire i soldi della pensione d'invalidità della figlia, che ammontano a 400 euro, versati direttamente su un libretto intestato solo alla mamma.
In aula ieri, durante la lettura della sentenza, non c'era alcun parente della vittima: sono tutti stati avvertiti dagli avvocati. Il marocchino, camicia bianca, volto sbarbato sotto la mascherina chirurgica, se n'è stato in silenzio, come durante tutte le udienze di fronte alla Corte. Lo sfogo solo nella camera di sicurezza, di fronte ai suoi avvocati: «Sono innocente».
Marina Lucchin
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