Conte stacca i telefoni: prima del varo voglio l'accordo sulla lotta all'evasione

Martedì 15 Ottobre 2019
IL RETROSCENA
ROMA Tale era la confusione e così numerose le brutte notizie che gli piovevano da Roma, che a metà pomeriggio Giuseppe Conte ha rinviato a oggi - ultima data utile - il Consiglio dei ministri per il varo della manovra. E si è reso irreperibile. «Lo proviamo a chiamare da ore per sapere se il governo si riunisce o se c'è un vertice di maggioranza. Nulla. Conte ha staccato il telefono...», ha allargato le braccia, sconfortato, un ministro dem poco all'ora di cena.
La tattica attendista del premier però non ha pagato. Anche a sera 5Stelle, Pd e Italia viva hanno continuato a darsele di santa ragione. Tant'è che Conte, dopo una giornata trascorsa ad Avellino assieme agli amici democristiani, ha deciso di cancellare - dopo averlo annunciato alle otto - perfino il vertice notturno. Il motivo lo spiegano al Nazareno: «E' stato Di Maio a far saltare il summit. Ma così non si va avanti. I problemi vanno risolti, non rinviati per cercare di alzare il prezzo».
Il premier nel posticipare a oggi la resa dei conti ha provato a centrare due obiettivi. Il primo: evitare che il vertice notturno degenerasse in rissa e le divisioni si trasformassero in fratture insanabili. Tanto che questa notte, a meno di sorprese dell'ultimo momento, il Consiglio dei ministri si limiterà ad approvare il Documento programmatico di bilancio (con i titoli e non i contenuti della manovra), rinviando di una settimana perfino il decreto fiscale. La prova provata dell'incompatibilità di posizioni nella maggioranza giallorosé.
IL DOSSIER CARO AL PREMIER
Il secondo obiettivo è invece di merito. Luigi Di Maio, a dispetto delle smentite, nel week end e ancora ieri ha frenato Conte e il ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, sulle misure per la lotta all'evasione fiscale attraverso l'uso della moneta elettronica e altri strumenti in grado di disincentivare i pagamenti in contante. E ha posto come condizione, per dare il suo assenso, il varo contestuale del giro di vite (carcere compreso) contro gli evasori: la sua misura di bandiera. Ipotesi però bocciata dal capo delegazione dem Dario Franceschini che vuole discutere queste misure «con più calma e con più prudenza». Dunque, fuori dal decreto fiscale. Da qui, davanti al muro contro muro, la decisione di far slittare di sette giorni il provvedimento.
«Per il presidente», spiegano a palazzo Chigi, «la lotta all'evasione è il fulcro della legge di bilancio, è fondamentale. Conte crede fermamente nelle misure per combattere i pagamenti in nero e non intende rinunciarci». E con lui Gualtieri pronto a gettare sul tavolo, d'accordo con il premier, la detraibilità dal 10 al 19% per chi paga con moneta elettronica delle spese per idraulici, elettricisti, parrucchieri, bar e ristoranti: i settori a più alto tasso di evasione. «Ma queste categorie non vanno criminalizzate», ha tenuto a raccomandare Conte per addolcire Di Maio.
Eppure, questo scontro è solo un dettaglio della Grande Rissa. E' bastato che Franceschini, dopo aver convocato a palazzo Chigi la squadra dei ministri dem, annunciasse la propria soddisfazione («le idee del Pd sono nella legge di bilancio»), per far scattare Di Maio. Dopo pochi minuti, seguendo la tipica strategia comunicativa grillina, dall'entourage del leader 5Stelle sono partiti attacchi ad alzo zero contro il Pd: «I dem hanno creato un asse con Renzi per cambiare quota 100 e ricavare 500 milioni. Per noi non esiste!».
Dietro l'attacco c'è il proposito di Di Maio di dedicare una parte del taglio del cuneo fiscale (portato a 3 miliardi proprio grazie al ritardo delle finestre di uscita di quota 100) alle imprese, per poi ottenere in cambio il loro via libera a inserire nella legge di bilancio il salario minimo. Ipotesi che non piace al Pd. Perché Franceschini e Zingaretti, d'accordo con Roberto Speranza Loredana De Petris di Leu, vogliono destinare per intero i 3 miliardi ai lavoratori dipendenti con redditi fino a 35 mila euro (in partenza il tetto si fermava a 26 mila). E perché non hanno intenzione di far incassare ai 5Stelle il salario minimo. «Soprattutto se a farne le spese devono essere i lavoratori...».
IL PARADOSSO
In questo caos, per paradosso, Zingaretti e Franceschini puntano proprio sui 5Stelle per ridimensionare Matteo Renzi, dimostrare che Italia viva «non ha alcuna golden share», e assestare all'ex premier la prima batosta proprio alla vigilia della Leopolda. Sono infatti numerosi i dem, a cominciare da Padoan e Nannicini, che plaudirebbero alla cancellazione di quota 100. E ai leader del Pd fa un gran comodo che «sia Di Maio», come dice un alto esponente dem, «ad alzare il muro», facendo fare a lui il lavoro sporco. Impresa in cui il leader grillino si è gettato con entusiasmo.
Il resto è storia della zuffa di Pd, Iv e 5Stelle per intestarsi il fondo unico a favore delle famiglie con figli. E del fuoco di fila contro il ministro dell'Economia Gualtieri, ma questo è un copione ricorrente.
Alberto Gentili
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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