Banca Popolare di Vicenza, definitive le multe agli ex vertici

Martedì 22 Febbraio 2022 di Angela Pederiva
La sede della Banca Popolare di Vicenza

VICENZA -  A distanza di cinque anni, diventano definitive le sanzioni della Consob nei confronti degli ex vertici della Banca Popolare di Vicenza. Con una serie di ordinanze depositate in questi giorni, la Cassazione ha respinto i ricorsi contro le sentenze emesse dalla Corte d'Appello di Venezia, che a sua volta aveva rigettato le impugnazioni avanzate dall'ex vicepresidente Marino Breganze e dagli ex consiglieri Giuseppe Zigliotto, Nicola Tognana e Giovanni Fantoni.

Le multe oscillano fra 100.000 e 150.000 euro, a seconda delle posizioni in campo.


GLI IMPORTI

Nel dettaglio: 120.000 euro al vicentino Breganze, in sella dal 1986; 100.000 al conterraneo Zigliotto, nel Cda dal 2003 al 2015; 150.000 al trevigiano Tognana, in carica dal 2009; all'udinese Fantoni 150.000 per il ruolo assunto dal 2007 e altri 100.000 per il periodo 2014-2015. Sotto la lente erano finiti proprio quei 14 mesi prima del crollo, quando Bpvi aveva promosso «una campagna sollecitatoria volta ad offrire ai clienti, in contropartita diretta, i titoli azionari presenti nel Fondo Acquisto Azioni Proprie», tuttavia «senza la preventiva pubblicazione del prospetto informativo». Secondo la ricostruzione della Consob, avallata dapprima dai giudici lagunari e ora anche dagli ermellini, l'istituto di credito «aveva in maniera continuativa sollecitato ad un'ampia platea di clienti l'acquisto delle azioni proprie sul mercato secondario, con condizioni di prezzo uniformi, facendo però figurare le operazioni come esecutive di ordini impartiti su iniziativa degli stessi clienti», mentre si era trattato «in realtà di un'offerta al pubblico di prodotti finanziari, e ciò in vista dell'obiettivo di evitare il superamento del vincolo alla normativa prudenziale».


LE CONTESTAZIONI

Di fronte a tale quadro generale, nei riguardi dei vari ricorrenti sono state formulate specifiche contestazioni. Per esempio Breganze «aveva operato quale vice-presidente del cda e presidente del comitato soci e, pertanto, non poteva non avvedersi dei plurimi segnali di allarme che gli imponevano di attivarsi». Per la Suprema Corte, «anche in presenza di eventuali organi delegati, sussiste il dovere dei singoli consiglieri di valutare l'adeguatezza dell'assetto organizzativo e contabile, nonché il generale andamento della gestione della società, e l'obbligo, in ipotesi di conoscenza o conoscibilità di irregolarità commesse nella prestazione dei servizi di investimento, di assumere ogni opportuna iniziativa per assicurare che la società si uniformi ad un comportamento diligente, corretto e trasparente».
Quanto a Zigliotto, che «aveva avuto modo di partecipare a numerose sedute del Cda, viene sottolineato che le «criticità bene potevano essere intercettate in ragione dell'elevato volume delle vendite di azioni proprie». Anche nel suo caso, infatti, la Cassazione ricorda che «sussistono doveri di particolare pregnanza in capo al consiglio di amministrazione delle società bancarie, che riguardano l'intero organo collegiale e, dunque, anche i consiglieri non esecutivi, i quali sono tenuti ad agire in modo informato e, in ragione dei loro requisiti di professionalità, ad ostacolare l'evento dannoso».
Considerazioni analoghe valgono pure per Tognana, un altro dei consiglieri «onerati di verificare che la società fosse munita di un governo efficace dei rischi», chiosano i magistrati: «Le mere rassicurazioni offerte dalle strutture interne non esimevano quindi dal dovere di un approfondimento». Il fatto di non aver avuto deleghe, inoltre, «non lo esimeva dall'adempiere all'obbligo di tenersi adeguatamente informato».
Fantoni aveva citato a sua difesa la «responsabilità dolosa quantomeno dell'amministratore delegato e di alcuni collaboratori», con il ricorso «ad espedienti utili a sviare le funzioni di controllo interno». Ma per la Corte il consigliere non poteva «fare affidamento sulle sole rassicuranti comunicazioni offerte dai report delle strutture interne». Tutte le impugnazioni sono state rigettate, con l'addebito di ulteriori 7.500 euro ciascuna per le spese del giudizio.

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