Romeo cristiano e Giulietta ebrea nel Ghetto di Venezia, struggente storia d'amore del '500

Giovedì 10 Giugno 2021 di Alessandro Marzo Magno
Campo del Ghetto Novo a Venezia

VENEZIA -  Una struggente storia di un Romeo cristiano e di una Giulietta ebrea nel ghetto di Venezia di fine Cinquecento: la racconta, assieme a molto altro, Germano Maifreda in Italya. Storie di ebrei, storia italiana (Laterza). La conosciamo perché è narrata nei verbali del tribunale del Sant'Uffizio veneziano e, lo diciamo subito, è finita male: Giorgio, il giovane marinaio innamorato pazzo ricambiato della bella Rachel, nel 1589 viene condannato a tre anni di remo in galea.

Il suo nome non compare più in documenti successivi, quindi si può ritenere che non sia più tornato in città e di conseguenza sia o morto o, speriamo per lui, fuggito.

La deposizione del marinaio e quelle dei testimoni sono per noi sorprendentemente importanti perché illuminano la vita quotidiana del Ghetto veneziano, durante il giorno intensamente frequentato da non ebrei e durante la notte non così chiuso come avrebbe dovuto essere. Questo non significa, sia ben chiaro, che gli ebrei non fossero segregati, ma semplicemente che le leggi non sempre venivano applicate alla lettera, in questo come in altri settori dell'esistenza della Dominante.


LA RELAZIONE PROIBITA
Apprendiamo anche dai documenti che non si parlava genericamente di ghetto, come facciamo noi oggi, ma di Ghetto nuovo e Ghetto vecchio, quali entità separate e distinte (il Ghetto nuovo, lo ricordiamo è la parte più vecchia, costituita nel 1516; il Vecchio, invece è più nuovo, istituito nel 1541, questo perché ci si riferiva alle precedenti fonderie e non all'insediamento ebraico). Giorgio, detto il Moretto (ma forse Moretti), «che è cristiano» testimonia il medico ebreo David, è stato visto «pratticare spesso in ghetto, va su e giù tutto l dì et de la via. Il vulgo in ghetto dice che è innamorato, che fa l'amor con una hebrea». L'ebreo Iacob, abitante del Ghetto vecchio, afferma: «Questo Iorgi prattica dì et notte per ghetto, et si dice che fa l'amore con una giovane figliola de Isaac Sordo hebrea. Lo so, perché detto Giorgi me l'ha detto delle volte assae et che fa l'amor con essa e che se la potesse menar via, la menave». La cosa è confermata, con un'aggiunta importante, da Sansone, macellaio del Ghetto vecchio: il giovane voleva «veder de menar via questa fia, quando non possa, per haverla, se vuol far hebreo, et questo l'ho inteso di sua bocca più volte». E questa, al tempo, sarebbe stata una colpa gravissima: un cattolico che si fosse convertito all'ebraismo si sarebbe macchiato del reato di apostasia, cosa da non prendere affatto alla leggera, in tempi di Controriforma, alla fine del XVI secolo.


IL CASO
Infatti tutto parte da una lettera anonima datata 6 aprile 1589 dove si denuncia «la pesima via che tien al continuo Iorgi dito Moreto solito mariner» che «continuamente mangia con li ebrei et conversa con loro ogni tempo dil ano». Anche la famiglia di Rachel è contraria alla storia d'amore perché sa bene che la figlia per sposarsi si sarebbe dovuta convertire al cattolicesimo. Infatti il giovane spasimante crede che sia stata proprio la famiglia di lei a denunciarlo: «Mi chiamo Giorgio Moreti de Venetia, la mia profession è stata diversa da mercantia et hora di marinaro. Io faccio l'amor con una donna hebrea donzella, figliuola de questi che me hanno dato questa querella. Questa hebrea con la qual io fo l'amor si chiama Rachel et sono 16 mesi che io fo l'amor con lei cioè doppo che io pratico in ghetto cusì frequentamente».


IL SABATO
Giorgio passa le giornate nel ghetto tra case e botteghe. Evidentemente aiuta anche nel forno dove si cucinano le azzime per Pesach e dove gli ebrei, venerdì prima del tramonto, portano «pignatte in forno per la mattina del sabbato» dove cucinano capponi, piccioni e torte salate. Alla lavorazione delle azzime partecipa un giovane fornaio cristiano di nome Alessandro. Questi testimonia che Giorgio, dalla barba appuntita, «giovane de 22 o 23 anni in circa» si trovava con lui durante la Quaresima e in occasione di un matrimonio alcuni ebrei «credo levantini» portano le pietanze a cuocere e dicono «al patron del forno, che è hebreo, dove io cucinava: Toglieteve per vostra regalia uno de miglior caponi che ve sia! et questo Giorgi sbregò una coscia o un'alla di capone, che era cotto, et se la mangiò, che mi fece contaminar et il detto patron del forno che è hebreo si cacciò a rider».


IL CARNEVALE EBRAICO
Giorgio, quindi mangia carne in tempo di Quaresima, mica cosa da poco, ai tempi. Durante il Purim, detto Carnevale ebraico, Giorgio partecipa a feste dove balla «con le nostre donne hebree» e ovviamente «desmascherato» o «stravestito con la maschera». E dev'essere un frequentatore assiduo: partecipa «a tutte le feste che si fanno in ghetto, che non si può far festa che lui non ci vada», oltretutto «menando altri cristiani». Lascia in custodia ai guardiani dei portoni «le maschere et la barba et la baretta» e poi «sta in ghetto quasi sempre tutto il dì et la notte», ovviamente anche fuori dell'orario consentito. Il giovane non partecipa soltanto alle feste, ma anche a occasioni di elevato valore simbolico, come la veglia che precede il Brit Milah (circoncisione): «E mentre si fanno qualche vegia», riferisce il testimone, «lui vi va et li stua a tute le vegie fino a zorno con loro ebrei». Collabora con i banchetti andando «a tuor la robba dal forno» e accogliendo gli invitati con un candelabro illuminato, in qualche occasione facendo addirittura gli onori di casa «invitando il populo ebraicho et acetandoli come fanno li ebrei». Tutto questo non poteva passare inosservato, ma la prima reazione delle autorità veneziane è molto blanda, segno che non si voleva infierire e che forse gli amori interconfessionali non erano poi così inconsueti.


LA CONDANNA
Giorgio viene semplicemente ammonito: gli proibiscono di andare nei ghetti Nuovo e Vecchio e gli ingiungono di non avvicinarsi ai portoni, pena un turno di tre anni al remo di una galea. Il richiamo del cuore, però, è più forte dell'ammonimento e dopo un paio di mesi il giovane si fa beccare in barca vicino al ponte de l'Aseo, a Cannaregio, assieme a tre macellai ebrei. Addirittura si finge pure lui ebreo poiché ha in testa la «baretta zalla» che contraddistingue gli ebrei dai cristiani, che invece portano il berretto nero. Racconta ai giudici di essere stato ubriaco: «Questa è la prima volta che ho fallato, ne dimando perdono et misericordia, è stato il vino che mi ha fatto fallar». L'appellarsi alla temporanea incapacità di intendere e volere, però, non lo salva. Finisce a vogare in una delle galee sforzade della Serenissima e così terminano sia la storia d'amore tra i Romeo e Giulietta del ghetto sia, con ogni probabilità, anche la vita del giovane marinaio Giorgio Moretti.
 

Ultimo aggiornamento: 10:57 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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