Marco Scarpa, lo stratega di Mancini: «Così abbiamo battuto l'Inghilterra»

Mercoledì 14 Luglio 2021 di Marco Bampa
Scarpa con Chiellini incoronato

VENEZIA - L’airone di Chioggia è volato in azzurro. E adesso anche lui può stringere tra le mani la coppa assieme a capitan Chiellini e godersi il titolo di campione d’Europa. Marco Scarpa, 49 anni, (airone è il soprannome da giocatore: fisico allampanato, gambe lunghe e grande senso del gol) da nove anni “gioca” nell’Italia con un doppio ruolo di match analyst.

Studia cioè le caratteristiche tattiche e tecniche dell’avversario di turno (prima dal vivo, ora anche in video) per scovarne i punti deboli e offrire suggerimenti all’allenatore per preparare al meglio la partita. Figure fondamentali nel calcio iperspecializzato di oggi, e imprescindibili se vuoi arrivare a determinati traguardi. Come un titolo europeo, ad esempio.

“Sapevamo che l’Inghilterra non ha un grande palleggio dal basso - racconta Scarpa, mentre in treno sta tornando a casa a Chioggia -, bisognava stare attenti alla linea verticale e agli appoggi su Kane e Sterling, dunque bisognava lasciare i centrocampisti in determinate posizioni. Anche il nostro pressing andava fatto in modo diverso da altre gare: tutte piccole varianti, molto specifiche, ma preparate con cura e attenzione. Diciamo che è stato un grande lavoro di gruppo, Mancini ha uno staff di ex sampdoriani eccezionale, sanno tirare fuori il meglio dai giocatori. Il nostro è invece un lavoro più freddo”.

Ma certo non meno importante. E iniziato per Scarpa quasi per caso. Protagonista (da punta esterna o centrale) dell’epopea del Cittadella di Ezio Glerean culminata nel 2000 con il primo storico sbarco in serie B, chiude la carriera da giocatore a 36 anni all’Edo Mestre. E da qui il salto per diventare tecnico è facile: due anni agli Allievi regionali del Cittadella (con la storica conquista delle Finali nazionali), un anno da allenatore al Chioggia in serie D.

Poi tutto cambia: “A luglio del 2012 il presidente aveva abbandonato la squadra e mi sono trovato a casa e senza squadra. Viscidi, responsabile del Settore tecnico della Figc, mi conosceva, mi ha contattato chiedendomi di entrare con un ruolo da osservatore degli avversari. Il mio profilo è piaciuto a Prandelli, che aveva bisogno di una persona con queste caratteristiche. E da allora sono qui”.

Un lavoro diverso da quello di allenatore?

Mica tanto, è solo percorrere altre strade per arrivare alla stessa meta: “Noi match analyst siamo tutti allenatori, chi fa questo ruolo esprime solo la sua professione in forma diversa, perché comunque il calcio è sempre quello. Nell’Italia siamo in 4: oltre a me ci sono Mauro Sandreani, ex allenatore a Padova, Antonio Gagliardi, che ha lavorato con Pirlo, e Simone Contran”. Insomma un grande lavoro preliminare, che si sposa in pieno con la vocazione di Mancini per un’Italia votata a comandare il gioco e protesa sempre all’attacco: “Mancini dopo tre anni lo conosciamo talmente bene che sappiamo già quali sono i punti che a lui interessano maggiormente dell’avversario: è sempre orientato ad attaccare, ama il calcio offensivo e le valutazioni sono su come essere incisivi davanti, evitando che ci siano difficoltà in fase di non possesso palla. Io in questo mi trovo alla grande, nasco da Glerean, che era il massimo per la fase offensiva. A distanza di 20 anni lo apprezzo sempre di più, perché era un tecnico all’avanguardia con il suo 3-3-4. Anche l’Italia attacca a volte con 5-6 uomini, ha vinto l’Europeo proprio grazie a un gioco offensivo, ma senza mai perdere equilibrio: in questo i ragazzi sono stati eccezionali”.

Dopo tante fatiche (“è un mese che non dormo, specie le ultime due notti”), adesso le  meritate vacanze, in vista di una ripresa nello staff di Mancini, stavolta con obiettivo Qatar 2022: “Penso di sì, si dice che squadra che vince non si cambia… Anche se ammetto che presto o tardi mi piacerebbe tornare ad allenare. Il Cittadella? Magari, sarebbe una bella suggestione”.

Ultimo aggiornamento: 15 Luglio, 09:42 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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