«Io, veneziano in Legione straniera,
vi racconto il mestiere di uccidere»

Giovedì 21 Gennaio 2016 di Danilo Pagliaro
Danilo Pagliaro sui un mezzo della Legione
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Si chiama Danilo Pagliaro, è veneziano ed è in forza alla Legione Straniera, il mitico corpo francese. Pagliaro ha raccolto la propria esperienza in un libro autobiografico che esce oggi, “Mai avere paura. Vita di un legionario non pentito”. Ne pubblichiamo un estratto.

L'individuo che hai di fronte è tuo nemico. Guardatevi da quei ragazzotti palestrati, tutti casa e computer, che fanno la vita dei bamboccioni a spese di mamma e papà, e intanto vegetano sui forum discettando di armi, tecniche militari e corpi d'élite e si esaltano pensando alla guerra. Non è per loro che sto scrivendo questo libro: chi adora il sangue è perché non l'ha mai visto. A quei ragazzi dico: abbiate le palle di arruolarvi, di partire in missione e di farvi spedire in prima linea. Vedrete il sangue, e vi assicuro che non vi piacerà. Chi in guerra c'è stato sul serio sviluppa una sorta di pudore. Certi episodi non devono essere raccontati, perché andare in battaglia è come entrare in confessionale: ciò che accade non deve uscire da lì. Diffidate dai grandi oratori, dagli smargiassi della trincea e dai poeti del filo spinato: quelli la guerra non l'hanno mai vista.  La guerra, da qualsiasi parte la si guardi, è un abominio, non come nei film o nei videogiochi, lo è molto, molto di più. Una sera, durante una missione nella Repubblica Centrafricana, mi trovo con alcuni camerati di fronte all'ingresso del Liceo Charles de Gaulle di Bangui, che abbiamo adibito a nostro quartier generale. Siamo all'indomani della sanguinosa rivolta scoppiata nella primavera del 1996, diversi focolai ribelli sono ancora attivi in varie zone del paese, e spesso i guerriglieri non indossano alcuna divisa. Veniamo avvicinati da una comitiva di gente del posto, alcuni uomini e una donna, che attaccano bottone. Iniziamo a parlare, quando a un certo punto la ragazza comincia a muoversi in modo strano: lentamente, quasi con circospezione, si inoltra nella penombra e si porta alle spalle del nostro brigadier-chef Mette la mano in una tasca, dalla quale estrae un piccolo oggetto nero. Non esito un attimo: scatto in avanti col pugno chiuso e la colpisco violentemente alla carotide. Non avevo alternative. Sono un militare in zona di guerra, ho avvistato un potenziale pericolo e devo eliminarlo il più rapidamente possibile. La donna si accascia al suolo senza emettere un solo lamento. Non credo che sia sopravvissuta. Nella mano stringeva un misero pettine di plastica. Ecco, miei cari legionari da tastiera, questa è la guerra. Quando sei in combattimento, esiste una sola regola: l'individuo che hai di fronte è tuo nemico. Devi renderlo inoffensivo. Non hai scelta: se tu non annienti il nemico, allora il nemico annienterà te, i tuoi ufficiali e i tuoi camerati. In guerra non esistono codici, né convenzioni. Se posso ricorrere al gioco sporco, stai pur certo che lo farò, perché la partita è semplice: o la tua sopravvivenza o la mia. Quando uccidi qualcuno, quella persona cessa improvvisamente di essere un pericolo. Uccidere non è la parola giusta. È impersonale. Tu non uccidi. Tu togli la vita. Ancora oggi, ripensando a quella donna, io provo dolore: immagino lo strazio dei suoi figli, o dei suoi genitori, della sua famiglia, dei suoi amici. Ma non potevo comportarmi altrimenti, e questo è il vero dramma della guerra.
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