FIESSO D'ARTICO - É stata condannata per falso l'ex infermiera della casa di riposo "Residenza la salute" di Fiesso d'Artico, finita sotto accusa per non aver somministrato i farmaci agli anziani ospiti della struttura.
UNA TESI CONTRO L'ALTRA
Un primo punto fermo in una vicenda processuale che, con ogni probabilità, è destinata a continuare. Il difensore della donna, l'avvocato Stefano Morrone, ha già annunciato l'intenzione di ricorrere in appello, una volta lette le motivazioni. Nel corso del processo l'imputata ha sempre sostenuto la sua innocenza, negando di aver saltato la somministrazioni di farmaci, raccontando invece di ritmi di lavoro impossibili - con 60 pazienti per turno, a cui somministrare una media di 13 terapie - e di una gestione delle "schede terapia" quantomeno confusa. Accusa e parte civile, dal canto loro, hanno fornito una ricostruzione del tutto diversa dei fatti, da cui risultava che l'infermiera era la più veloce a completare il suo giro, proprio perché non somministrava i farmaci, a dispetto di quel che scriveva nella scheda.
I fatti contestati a Viola risalgono all'estate del 2019. Erano stati i colleghi ad insospettirsi dei ritmi particolarmente veloci della nuova infermiera (era stata assunta a febbraio) che completava la somministrazione dei farmaci in un'ora, quando gli altri ne impiegavano più di due. A quel punto la direzione aveva deciso di controllare la dipendente, monitorando in particolare l'utilizzo di alcuni erogatori di farmaci. Si era così scoperto che il dispositivo di numerazione delle erogazioni, durante il suo turno, restava fermo nei casi di alcuni pazienti. Immediata era scattata la denuncia della donna.
PROCESSO COMBATTUTO
Le indagini, coordinate dal sostituto procuratore Del Turco, avevano escluso che il comportamento dell'infermiera avesse messo in pericolo gli ospiti. I farmaci sottodosati erano per lo più broncodilatatori, il cui effetto era in qualche modo recuperato grazie alla successiva somministrazione. Di qui l'accusa per la donna "solo" di falso in atto pubblico, relativo alla compilazione delle schede terapie, con le sue firme che attestavano le somministrazioni, in realtà mai avvenute. Il dibattimento, si è detto, è stato molto combattuto. Accusa e parte civile hanno puntato sul racconto degli altri infermieri, nonché sui dati raccolti dagli erogatori. La difesa ha messo in dubbio la stessa autenticità delle firme, insistendo sulla confusione legata ai carichi di lavoro. Ma alla fine il giudice ha deciso per la condanna, pur con le attenuanti e la sospensione della pena. Soddisfatto l'avvocato Garbisi, per la "Residenza la salute". «La denuncia e la costituzione come parte civile erano atti dovuti per una struttura accreditata, che risponde a tutti i requisiti di legge, anche rispetto al numero di operatori». Per la donna, che non lavora più come infermiera, parla l'avvocato Marrone. «Ha cambiata completamente settore, ma non vuole questa macchia. Convinti della sua innocenza faremo ricorso». Se ne riparlerà in Appello.
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