L'assegno di divorzio c'è anche per le coppie gay: la pronuncia della Cassazione

Venerdì 29 Dicembre 2023 di Cristina Antonutti
Coppia

PORDENONE - Se l’unione civile tra persone dello stesso sesso si scioglie, l’assegno di mantenimento va calcolato anche in base alla convivenza come coppia di fatto. E poco importa se il legame è nato prima della legge Cirinnà sulle unioni civili, la 76/2016. Lo aveva stabilito una pioneristica sentenza del giudice pordenonese Gaetano Appierto nel 2019, quando si è pronunciato sul caso di una coppia - una donna di Pordenone, l’altra di Mira - che nel 2016 aveva ufficializzato tre anni di convivenza more uxorio con l’unione civile. Un orientamento che le Sezioni unite della Cassazione ha confermato con un verdetto che avrà ricadute a livello nazionale su svariate controversie. Ciò che prevede la legge sul divorzio del 1970, adesso vale anche per le unioni civili.

Nessuna disparità e nessuna discriminazione per le coppie dello stesso sesso.

LA BATTAGLIA

La battaglia legale sull’interpretazione della legge Cirinnà, ingaggiata dall’avvocato Maria Antonia Pili, va avanti da cinque anni. Dalla parte opposta c’è l’avvocato Anna D’Agostino, che in Appello è riuscita a smontare la sentenza del Tribunale di Pordenone, ma poi si è scontrata con la prima sezione civile della Cassazione, che chiamata a pronunciarsi sulla vicenda ha rinviato il caso alle Sezioni Unite riconoscendo la novità delle questioni sollevate su un tema che «tocca direttamente la collettività e la coscienza sociale». Da Roma si tornerà adesso in Appello a Trieste per un nuovo accertamento sui presupposti necessari per il riconoscimento dell’assegno. Ma la strada ormai è tracciata: se il/la partner alla fine dell’unione non ha mezzi economici adeguati e non può procurarseli, il giudice deve tener conto anche del periodo di convivenza e, come nel caso della donna assistita dall’avvocato Pili, della perdita di chance patita a causa del trasferimento da Venezia a Pordenone, oltre che dalle scelte professionali fatte quando si è spostata in Friuli. Perché la convivenza, dicono i giudici, non è un «segmento a sè stante della vita familiare», ma parte integrante.

LA COPPIA

Il no della Corte d’Appello era basato proprio sul fatto che le scelte erano state fatte durante il periodo di convivenza, prima dell’entrata in vigore della legge 76 del 2016, quindi non poteva esserci un effetto retroattivo. Ma essere soltanto una coppia di fatto prima della Cirinnà era l’unica strada percorribile per le coppie gay. E non a caso le Sezioni Unite sottolineano come la stessa Corte europea dei diritti dell’Uomo avesse condannato l’Italia nel 2015 per non aver rispettato l’obbligo di garantire un quadro giuridico a tutela delle unioni omosessuali. La coppia pordenonese-veneziana si è sciolta dopo due anni di unione civile sulla spinta della coniuge economicamente più forte. Valutando il caso il Tribunale di Pordenone ha ritenuto che lo squilibrio tra le condizioni economico-patrimoniali delle due donne fosse «pacifico» e, soprattutto, riconducibile alle scelte di vita fatte durante la relazione, che il giudice Appierto ha considerato nella sua totalità, cioè dal momento in cui la coniuge di Mira ha lasciato il lavoro e la casa dei genitori a Venezia per avere più tempo a disposizione per la compagna a Pordenone. Una scelta che ha comportato la rinuncia a un lavoro più vantaggioso dal punto di vista economico per privilegiare il legame affettivo con la compagna, E il giudice, riconoscendo la «perdita di chance», le aveva concesso un assegno divorzile di 550 euro. Il contenzioso dovrà adesso essere rivalutato dalla Corte d’appello di Trieste sotto un’altra luce, quella accesa dalle Sezioni Unite. 

Ultimo aggiornamento: 17:07 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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