Primo divorzio tra due donne: il giudice concede gli alimenti al coniuge debole

Sabato 16 Marzo 2019
Primo divorzio tra due donne: il giudice concede gli alimenti al coniuge debole
LA SENTENZA
PORDENONE Cinque anni di convivenza ufficializzati nel 2016, grazie alla legge Cirinnà, con l'unione civile. La coppia gay - una donna di Pordenone, l'altra di Mira - si è sfaldata, come può capitare a una qualsiasi coppia eterosessuale. A chiedere lo scioglimento dell'unione è stata la coniuge economicamente più forte e che adesso dovrà sobbarcarsi un assegno divorzile di 350 euro al mese. Così ha deciso il giudice del Tribunale di Pordenone, Gaetano Appierto, ritenendo «pacifico» lo squilibrio tra le condizioni economico-patrimoniali delle due donne. «Uno squilibrio - ha sottolineato nella sentenza emessa il 13 marzo scorso - riconducibile a scelte di vita assunte nel corso della relazione tra le parti». La coniuge originaria di Mira, infatti, ha lasciato il lavoro a Venezia per avere più tempo a disposizione per la compagna. Una scelta riconducibile alla vita comune, che ha spinto la donna di Mira a costituire un nuovo centro di interessi a Pordenone e a rinunciare a un lavoro leggermente più remunerativo. Giuridicamente si chiama «perdita di chance».
IL DIVORZIO
«È uno dei primi - se non il primo - caso in Italia di riconoscimento dell'assegno di mantenimento nell'ambito di una causa di scioglimento di un'unione civile», spiega l'avvocato Maria Antonia Pili, esperta di diritto di famiglia e paladina di tante battaglie a favore delle coppie gay. Era lei a tutelare la parte debole. L'altra compagna si era affidata agli avvocati Anna D'Agostino e Silvia Aliprandi. Le due donne convivevano more uxorio dal 2013. La legge Cirinnà ha loro permesso di perfezionare l'unione, ma a distanza di due anni il rapporto ha cominciato a logorarsi. A differenza delle coppie eterosessuali, in caso di unione civile si accede direttamente al divorzio, evitando la fase della separazione.
VITA RIVOLUZIONATA
A chiedere lo scioglimento dell'unione è stata la coniuge di Pordenone, quella economicamente più forte, che ha poi deciso di lasciare l'abitazione di proprietà, dove tuttora vive l'ex compagna e che insieme avevano ristrutturato e arredato. Quest'ultima chiedeva al giudice un assegno di mantenimento, visto che il trasferimento a Pordenone era coinciso con un peggioramento delle sue condizioni economiche. «Aveva ripiegato per un'attività lavorativa più modesta - sottolinea l'avvocato Pili - E in futuro potrebbe ritrovarsi senza quei supporti logistici ed economici che l'avevano indotta a cambiare radicalmente il suo stile di vita e il lavoro».
L'ASSEGNO
L'assegno di 350 euro è provvisorio. Adottato - scrive il giudice Appierto - sul presupposto «che la signora occupi ancora l'abitazione condivisa all'epoca della relazione». Nel momento in cui la donna lascerà la casa di Pordenone - con relativo impoverimento, specifica il giudice, e arricchimento della parte economicamente più forte, che si ritrova l'immobile nuovamente a disposizione - l'assegno di mantenimento dovrà essere rimodulato. Sarà pertanto aumentato, perché la cliente dell'avvocato Pili dovrà sostenere ulteriori spese: prendere in affitto un appartamento o, comunque, procurarsi una nuova casa.
LO SQUILIBRIO
Nella sua sentenza il giudice si è richiamato alle dichiarazioni dei redditi depositati dell'ex coppia, alla ricostruzione dei rispettivi patrimoni e al fatto che lo «squilibrio, per quanto in misura marginale, appare allo stato riconducibile a scelte di vita assunte nel corso della relazione delle parti». È stata presa in considerazione anche la fase della convivenza di fatto. Una fase - scrive Appierto - «assolutamente identica alle modalità di gestione dell'unione civile post celebrazione; quanto poi è opportuno sottolineare che la coppia solo con la promulgazione della legge Cirinnà ha potuto legalizzare il proprio rapporto, non essendo possibile in epoca precedente contrarre in Italia tra loro una qualsiasi forma di matrimonio. Appare pertanto altamente verosimile che nel corso della stabile convivenza delle parti in causa siano state adottate decisioni in ordine al trasferimento della propria residenza e alla attività lavorativa dettate non solo dalla maggior comodità del posto di lavoro rispetto ai luoghi di convivenza (Pordenone piuttosto che Mira), ma anche dalla necessità di coltivare al meglio la relazione e trascorrere quanto più tempo possibile con la propria compagna».
Cristina Antonutti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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