Divorzio fra due donne, l'assegno di mantenimento al coniuge economicamente debole va dato? Il caso in Cassazione

Sabato 28 Gennaio 2023 di Cristina Antonutti
Lei contro lei in Cassazione per l'assegno di divorzio

PORDENONE - Un divorzio tra donne, un Tribunale che concede l'assegno di mantenimento alla coniuge economicamente più debole e una Corte d'appello che ribalta l'innovativa sentenza del giudice pordenonese Gaetano Appierto. Dopo cinque anni, la battaglia legale approda in Cassazione sulla spinta dell'avvocato Maria Antonia Pili, paladina dei diritti civili che con la sua impugnazione ha centrato un obiettivo che avrà ricadute importanti sull'interpretazione della legge 76/2016 riguardante le unioni civili.

La prima sezione civile della Cassazione, chiamata a pronunciarsi sulla vicenda, con un'ordinanza depositata ieri mattina ha chiesto che il ricorso venga valutato dalle Sezioni Unite. «Le questioni qui agitate si palesano di massima importanza», scrivono i giudici. E non solo per la novità del contenzioso, ma anche per le «ricadute su un numero rilevante di controversie» e per un tema che «tocca direttamente la collettività e la coscienza sociale».


LA STORIA
La coppia gay - una donna di Pordenone, l'altra veneziana, di Mira - aveva ufficializzato tre anni di convivenza more uxorio con l'unione civile nel 2016, grazie alla legge Cirinnà. Come capita a molte coppie eterosessuali, qualcosa si è inceppato e dopo due anni la coniuge economicamente più forte ha chiesto lo scioglimento dell'unione. Le coppie gay accedono direttamente al divorzio. Ed è in questa fase che il Tribunale di Pordenone ha ritenuto «pacifico» lo squilibrio tra le condizioni economico-patrimoniali delle due donne, riconducibile a scelte di vita assunte nel corso della relazione, che è stata considerata nella sua interezza, a cominciare dal momento in cui la donna originaria di Mira ha lasciato il lavoro a Venezia per avere più tempo a disposizione per la compagna e stare con lei a Pordenone. Così facendo ha rinunciato a un lavoro più remunerativo e il giudice, riconoscendo la «perdita di chance», le ha concesso l'assegno divorzile.


LE SENTENZE
La sentenza di primo grado ha riconosciuto uno squilibrio, anche se marginale, creato dalle «scelte di vita assunte nel corso della relazione delle parti». Ha preso in considerazione anche la fase della convivenza di fatto, considerandola «assolutamente identica alle modalità di gestione dell'unione civile post celebrazione» e ricordando che soltanto grazie alla legge Cirinnà la coppia ha potuto legalizzare il rapporto, non essendo possibile in epoca precedente contrarre una forma di matrimonio per le coppie omosessuali in Italia. Ma per la Corte d'appello di Trieste non può esserci un effetto retroattivo e il rapporto di coppia ante legge 76/2016, cioè quando non era regolamentato, non può essere preso in considerazione ai fini del riconoscimento dell'assegno divorzile. I giudici di secondo grado hanno pertanto accolto il ricorso della controparte rappresentata dagli avvocati Anna D'Agostino e Silvia Aliprandi, sostenendo che non vi era prova che con il trasferimento a Pordenone e il contestuale licenziamento la coniuge di Mira avesse rinunciato a una migliore e più redditizia occupazione (aveva ripiegato per un'attività più modesta). Ora la parola passa alle Sezioni Unite. «La Corte di Cassazione ha colto nel segno: questo è un principio di diritto - commenta l'avvocato Pili - È stato uno dei primi divorzi in Italia dopo la legge 76/2016, una causa pilota a cui il Tribunale di Pordenone ha risposto con una sentenza innovativa. Saranno adesso le Seziono Unite a stabilire se, come sostengo e come ha riconosciuto il giudice Appierto, per avere l'assegno vadano presi in considerazione anche i fatti incidenti nella relazione pre unione civile».

Ultimo aggiornamento: 19:04 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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