«Pazienti inviati al pronto soccorso dell'ospedale». Medici di famiglia nel mirino

Domenica 15 Novembre 2020 di Alda Vanzan
Pronto soccorso dell'ospedale di Mestre
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VENEZIA - Si presentano al pronto soccorso con la febbre. Alta, anche quaranta gradi. Alcuni accusano difficoltà respiratorie, sintomi comunque che vengono classificati come minori. Sanno che il pronto soccorso è l'ultimo posto dove, di questi tempi, bisognerebbe andare, perché il coronavirus circola soprattutto dove ci sono i malati. Però è lì che sono stati indirizzati: «Me l'ha detto il medico di famiglia». Ma il suo medico l'ha visitata? Ha fatto degli accertamenti clinici? L'ha vista? «Mi ha detto di venire in pronto soccorso».
Potrebbe essere vero o falso, verosimile o arricchito di dettagli di fantasia.

Solo che adesso la Regione del Veneto vuole vederci chiaro. Perché sono troppe le persone che si presentano al pronto soccorso sostenendo di eseguire gli ordini del proprio dottore, se non addirittura del Servizio di continuità assistenziale, cioè quella che una volta si chiamava Guardia medica. E se sarà vero quanto finora segnalato dai pazienti, scatteranno provvedimenti a carico dei medici. Quali, il dottor Paolo Rosi, coordinatore del Comitato di crisi emergenza coronavirus, non l'ha detto. Ma la sua stringatissima lettera ha provocato scalpore.

LA DISPOSIZIONE

Ecco cosa ha scritto Rosi nella disposizione numero 3 del 13 novembre indirizzata ai direttori delle Centrali operative Suem 118, ai direttori sanitari e ai direttori dei distretti delle Ulss, nonché, per conoscenza, ai direttori generali delle aziende Ulss e ospedaliere. L'oggetto non ha bisogno di commenti: Segnalazione inadempienze medici di medicina generale.
Seguono otto righe: Facendo seguito alle ripetute segnalazioni pervenute dalle Centrali operative del Suem, relative a pazienti affetti da iperpiressia e sintomi respiratori minori, che vengono invitati a rivolgersi al 118 dal medico di medicina generale, senza che questi abbia provveduto ad alcun approfondimento clinico, si invitano i direttori delle Centrali operative a registrare i nominativi dei medici interessati ed a trasmetterli ai direttori del distretto, che dovranno provvedere alle opportune verifiche ed ai necessari provvedimenti atti ad evitare il ripetersi di tali comportamenti. Analoga segnalazione dovrà essere effettuata anche per eventuali casi riguardanti i medici del Servizio di continuità assistenziale.

LE VERIFICHE

Dunque i medici di base saranno schedati. Ogni qualvolta un paziente si presenterà al pronto soccorso pensando di avere il Covid e sostenendo che a inviarcelo è stato il medico di base senza neanche approfondire il caso, le generalità dello stesso medico saranno registrate. Dopodiché saranno i distretti delle Ulss a occuparsi delle verifiche. Idem per l'ex Guardia medica.
Rischia, dunque, di aprirsi un altro fronte tra la Regione del Veneto e i medici di base. L'ultimo, in ordine di tempo, ha riguardato i tamponi rapidi che, in base a un accordo nazionale recepito prima di tutti in Veneto, dovrebbero essere eseguiti dagli stessi camici bianchi ai propri assistiti. Ma, pur essendo stato stabilito dal Governo un compenso (18 euro a tampone, 12 se eseguito non nel proprio ambulatorio, più un contributo infermieristico), l'adesione non è stata massiccia. Anzi. E adesso ecco che scattano i controlli su chi manda i propri assistiti direttamente al pronto soccorso.
LA POLEMICA

Collegata al dottor Rosi è anche la polemica scoppiata ieri in merito a un articolo di La Repubblica intitolato: La battaglia dei medici per non liberare i reparti. Zaia ha negato categoricamente che le strutture ospedaliere dimettano malati allo scopo di ridurre i numeri complessivi nelle strutture sanitarie nella regione: «Il dottor Rosi, che è responsabile della gestione delle terapie intensive, in una videoconferenza qualche giorno fa ha riferito che dai dati emergevano 200 pazienti asintomatici positivi ricoverati. Ho detto: fate una verifica in ogni Ulss. La verifica è stata fatta ed è emerso che sono pazienti catalogati Covid positivi, asintomatici, ma che sono in ospedale per altre patologie. E che continuano a essere in ospedale. È stato creato un caso sul nulla, noi abbiamo solo verificato se vi era in corsia qualcuno che non aveva i titoli per starci».
Alda Vanzan
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Ultimo aggiornamento: 16 Novembre, 11:15 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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