L’appello dei bengalesi: «Nessuno ci aiuta, ora rischiamo la fame»

Lunedì 30 Novembre 2020 di Maurizio Dianese
Una manifestazione della comunità bengalese di Mestre contro il terrorismo in una foto d’archivio
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MESTRE - «Un mese fa ero preoccupato per la pandemia, adesso sono preoccupato per il pane. La mia comunità è alla fame e non vedo prospettive di ripresa economica nemmeno per il 2021. Forse per il 2022. Il problema è sopravvivere fino ad allora».
Così Kamrul Syed, portavoce della più numerosa comunità straniera – 10 mila persone - a Venezia e Mestre. Si tratta di quell’esercito di bengalesi che di fatto ha tenuto in piedi la Fincantieri e gli alberghi di Venezia, ma anche decine di negozi e negozietti, bar e ristoranti tra via Piave e Marghera, Mestre e Favaro. Adesso sono allo stremo. «Pensare che a novembre, quando c’è stata l’acqua alta, siamo corsi in aiuto dei veneziani perchè ci sentivamo parte di questa comunità... adesso siamo noi ad aver bisogno di aiuto, ma non ci aiuta nessuno. I soldi dello Stato, quando arrivano, arrivano con il contagocce, ma come dovrei fare io a mantenere moglie e tre figli con 450 euro al mese?».
IL NUMERO DEI POSITIVI
Syed ormai non è più di tanto preoccupato per i positivi al Covid: «Fra i bengalesi siamo arrivati tranquillamente sotto i 100 e quindi non sono preoccupato. Dopo le nostre proteste finalmente sono tutti seguiti dal medico di base o dall’Ulss e quindi sono tranquillo, non ci sono rischi. Poi alla Fincantieri, come avevamo chiesto, fanno i tamponi direttamente in fabbrica. Abbiamo risolto anche da soli il problema degli alloggi. Avevo chiesto a Comune e Ulss che ci mettessero a disposizione qualche camera per isolare i positivi, ma l’unica risposta è stata l’albergo a pagamento. Ma noi non abbiamo i soldi nemmeno per mangiare, figuriamoci se possiamo pagare una stanza 25 euro al giorno. Ogni giorno dobbiamo decidere se mangiare o pagare le bollette e l’affitto. Comunque abbiamo risolto anche il problema logistico. Chi non può rimanere in casa, isolato, è ospite dei nostri B&B e per quanto riguarda il cibo provvede la comunità. Ecco, resta il problema degli autobus che in certe ore della giornata, quando iniziano e finiscono i turni alla Fincantieri, sono strapieni. Del resto sul tema degli autobus come sul resto, a cominciare dal Covid non siamo stati mai sentiti da nessuno, come se finora non avessimo contribuito al benessere di questa comunità».
L’IDEA DEL RIENTRO
E Kamrul Syed racconta che molti bengalesi stanno cercando di trovare il modo di tornare a casa, magari per tutto il prossimo anno. «Ma ci vogliono 2mila euro per portare a casa una famiglia intera. E quando vanno a chiedere in Comune, si sentono rispondere che soldi ce ne sono se vogliono tornare in Bangladesh, ma poi non possono più tornare in Italia. E allora il bivio di fronte al quale ci stiamo trovando in questi giorni è tra morire di Covid e morire di fame, ma ci fa più paura la fame e io temo che la fame giochi anche brutti scherzi. Finora la nostra comunità si è comportata sempre correttamente, ma quanto manca perchè ci troviamo la gente che ruba per fame?». Gli unici che si salvano sono i lavoratori della Fincantieri, che sono rimasti quasi tutti al lavoro anche in questo periodo e che rappresentano un buon 30 per cento della comunità bengalese. Tutti gli altri invece sono disperati. «E c’è anche chi è già fallito o sta per fallire. Anch’io sono stato costretto a mollare il ristorante che avevo aperto un paio di anni fa in stazione, ho fatto un buco di 80 mila euro dal quale non riuscirò certo a riprendermi. E così tutti i connazionali che avevano i banchetti a Venezia e che non riescono a pagare l’affitto e magari hanno la merce già pagata in magazzino. Insomma la nostra comunità rischia di pagare un prezzo altissimo alla pandemia e bisognerebbe che, come succede in Germania o in Svizzera, in Francia o in Inghilterra, ci si rendesse conto che gli aiuti devono arrivare per tutti».

Ultimo aggiornamento: 11:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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