Giorgio vuol lasciare l'osteria museo
ma i clienti fanno pressing: «Mai»

Martedì 26 Aprile 2016 di Paola Treppo
Giorgio dietro al banco dell'osteria di Leproso

PREMARIACCO (Udine) - Per volontà di tutte le generazioni di famiglia è rimasta così com’era una volta, la vecchia osteria di paese che fa pausa a pranzo, un’oretta, ma chiudendo le ante della porta d'ingresso con discrezione, solo se ormai in sala non c’è rimasto più nessuno. Si chiama “Da Fulvio” ma tutti la chiamano l’osteria “Di Leproso”, dal nome del paesino in cui sorge, un piccolo borgo coccolato dalle acque del Natisone dove regna la calma, con tante case piene di fiori che si snodano lungo un’unica via, con un susseguirsi di numeri civici che muoiono poi nelle campagne, dove si scorge una chiesetta e un piccolo vecchio cimitero.

Giorgio, che gestisce l’osteria come titolare dal 1986, è un “rigoroso” di storia e nel suo locale ha cercato di mantenere tutto come un tempo, compresi i rimaneggiamenti anni ’60 al bancone. Il locale, che non è recensito da nessuna parte, è frequentato perlopiù dalla gente del posto che ci va a bere un bicchiere di vino e a giocare a carte; si mangia anche un po’ di prosciutto crudo «di quello buono», assicurano gli avventori. Non ha targhe di riconoscimento ma è uno degli ambienti più genuini, originali e meno conosciuti di questa parte del Friuli.  

L'osteria museo, un pezzo di storia

 
Gli esterni sono semplici: sulla facciata una tralcio di vite corre lungo tutto il piano terra, c’è la scritta in ferro, molto datata, “Leproso”, a indicare la località, i tabelloni del secolo scorso “Birra Moretti”, il civico 10, gli orari di apertura e poco altro. Dentro due stanze: una dove si riuniscono un gruppo di amanti della pesca, con quattro tavolini e le sedie “in stile”, pochi quadretti con una collezione di “mosche” da mettere all’amo e un portabiti anni Ottanta. Gli ambienti sono scarni e pulitissimi, anche nella sala bar: ai muri le foto che ritraggono l’osteria decine d’anni fa, le foto di fine 1800 con la passerella in legno che collegava Leproso con la vicina borgata di Orsaria, poi trasformata in un ponte di cemento armato.

Svetta la pagina de “Il Gazzettino”, incorniciata, ingiallita, che dà la notizia, il 5 novembre del 1918, della fine della prima guerra mondiale. Un po’ un po’ bar un po’ museo, insomma. Giorgio, che ogni tanto  ha voglia di mollare, perché sta per raggiungere l’età della pensione, viene subito redarguito dai clienti: «Mai senza questa osteria.
Se serve, ci veniamo a bere anche ogni giorno». In questo locale, che non si sa bene neanche da quanti anni sia aperto, certamente dai primi del Novecento, Giorgio del resto ci “lavora”, da quando era solo un bambino e andava alle elementari. La sua vita l'ha passata lì dentro. 

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