In Etiopia per salvare i bambini, Margherita la futura pediatra che sogna l'Africa

Sabato 11 Novembre 2023 di Camilla De Mori
Federica Baracetti

UDINE - La passione per l'Africa assieme all'impegno per il Sud del mondo, Margherita Baracetti, 37 anni, di Colugna, l'ha assorbita anche in famiglia, dove però, spiega, è stata declinata «più sul versante politico». Lei, invece, che il 15 novembre, da specializzanda in Pediatria, partirà per l'ospedale di Wolisso gestito dal Cuamm in una delle zone più povere dell'Etiopia, ne ha fatto una versione tutta sua, con una cifra «più umanitaria». In valigia, nel suo bagaglio umano, porterà «il non giudizio. Sono molto brava a osservare senza giudicare. Sarà molto utile all'inizio. Poi, professionalmente, porto tutto quello che so. Cercherò di capire i loro bisogni: osserverò per capire se c'è qualcosa che si può fare meglio. Poi, pensavo di fare dei piccoli corsi di rianimazione neonatale.

Una cosa che il Cuamm sta portando avanti è quella di insegnare alle figure intermedie: medici senza specializzazione o figure che si trovano a metà strada fra gli infermieri e i dottori. A queste persone vorrei fare un corso, in modo che 24 ore su 24 ci sia qualcuno in grado di rianimare un bambino». Una necessità, in una zona che fa i conti con malnutrizione, Hiv e meningite, e in un ospedale dove «ci sono quasi tremila parti all'anno, una media di 8 al giorno. Erano 4mila un tempo, poi la situazione economica è peggiorata».

Nessuna paura del Covid. «Non sono preoccupata. Prima della laurea in Medicina ero infermiera e ho passato un anno e mezzo prima alla Comunità Piergiorgio di Udine e poi nel reparto di Malattie infettive». Poi, per lei, il grande salto: «Ho iniziato Medicina a Roma alla Sapienza e sono tornata a Udine. Le malattie infettive non mi fanno paura per niente. Una parte del mio periodo "elettivo" l'ho trascorsa al Meyer di Firenze. Ho paura, invece, di restare male per le morti dei bambini. Spero di riuscire a focalizzarmi su quello che faccio di buono. Lì purtroppo i bambini muoiono molto di più rispetto a qui in Friuli. Le partorienti arrivano molto dopo in ospedale, non fanno l'ecografia prenatale. Ci sono bimbi che nascono anche con malformazioni... A Tosamaganga, all'ospedale in Tanzania, dove nel 2016 ho trascorso un mese al mio ultimo anno di Medicina con il Wolisso Project del Cuamm, ho visto una donna morire di rabbia e un bimbo morso da un serpente. Sono cose che qui da noi non vediamo più. Spero di essere preparata psicologicamente».

Se ha scelto l'Africa per maturare sei mesi della sua specialità in Pediatria che poi saranno riconosciuti dal sistema italiano, il motivo è semplice. «Ho scelto di passare sei mesi del mio "elettivo" in Africa perché è sempre stato il mio desiderio andare nei Paesi in via di sviluppo. Lì puoi dare un aiuto significativo, poi, per me significa anche tornare alle radici della medicina. L'esperienza in Tanzania, nel 2016 mi era piaciuta molto. Con me ci sarà un'altra specializzanda di Mestre, che studia a Verona. La nostra tutor è una pediatra etiope molto brava». Wolisso è un appuntamento mancato da recuperare, per lei, visto che «dovevo già andarci nel 2016. Avevo vinto il posto, ma poi c'erano stati scontri e sono stata dirottata in Tanzania. Adesso, la situazione si è tranquillizzata. Non sono preoccupata, perché il Cuamm è molto attento alla sicurezza».

La sua famiglia come l'ha presa? «Molto bene. Sanno che è quello che volevo fare. Mia mamma ha passato un mesetto in Costa d'Avorio a fare volontariato con il Cevi».
In Etiopia, oltre a «una valanga di medicine e guanti di plastica usa e getta, che costano un sacco», per la sua "comfort zone" porterà «un po' di Montasio e lo speck della Wolf, perché faccio sempre la colazione salata. Un diario dove scrivere le mie impressioni e tanti giochi da tavolo e film da vedere tutti insieme, assieme alle racchette da ping pong. E poi i carboncini per disegnare, perché quella è la mia valvola di sfogo».
 

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